Tregua in Medio Oriente, il patriarca Twal: serve una pace giusta e duratura
In Medio Oriente regge ancora il cessate il fuoco tra Israele e i fondamentalisti
palestinesi di Hamas nella Striscia di Gaza, grazie anche alla mediazione di Egitto
e Stati Uniti. Soddisfatti il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen,
ed il premier israeliano Netanyau che però ribadisce: se l’accordo sarà violato siamo
pronti ad entrare in azione. Il cessate il fuoco – ha detto mons. Giuseppe Lazzarotto,
nunzio in Israele e delegato apostolico a Gerusalemme - è motivo di “grande soddisfazione”.
La speranza – ha aggiunto – è “che ci sia una tenuta”. Quale il significato di questa
di questa tregua? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al patriarca latino di Gerusalemme,
mons. Fouad Twal:
R. - Una tregua
che significa, in primo luogo, assenza di guerra e di violenza, ma non significa affatto
una soluzione e una pace giusta e duratura per tutti. Tanti sono stati i promotori
di questa tregua e ciascuno cercava di trovare il suo credito, da una parte e dall’altra.
Non so… Ad ogni modo, questa tregua permetterà almeno alla gente di curare i feriti,
che sono centinaia e centinaia.
D. - Quella della tregua è una storia che
si ripete in Medio Oriente. Ma in questa tregua - rispetto a quelle del passato -
c’è qualche speranza in più?
R. - No, perché rappresenta soltanto un ‘gioco’,
portato avanti ormai da tanti attori. Quello che c’è in più questa volta è che i palestinesi
sono stati uniti nel chiedere questa tregua e per condannare la guerra.
D.
- Nessuna guerra è santa, come sostengono alcuni gruppi fondamentalisti palestinesi
e nessuna guerra è necessaria, come è invece ribadito dal governo israeliano. Si può
uscire da questa empasse?
R. - Dopo tante esperienze, speriamo ora che i dirigenti
politici abbiano il consenso per poter dire che sarebbe meglio per tutti quanti tornare
alla pace, tornare ad una pace giusta e al rispetto della persona umana, non continuare
a fare la prova delle armi, e delle strategie per altri motivi. E’ tempo di ritornare
a vivere, è tempo di tornare ad avere una vita normale per tutti quanti. Credo che
tutti abbiano perso: chi ha perso meno, pensa di aver vinto! Non è bello per israleiani
a Tel Aviv essere nascosti nei rifugi per cinque giorni con tutto l'impatto negativo
per la loro economia. Non è bello vedere che tanti gruppi di pellegrini e turisti
hanno cancellato il loro incontro con me al Patriarcato. E questo significa che tanti
altri gruppi non sono arrivati in Terra Santa. E’ un male per tutti quanti: è un male
per i palestinesi, è un male per gli israeliani, è un male anche per noi cristiani.
Credo che tutti abbiano perso!
D. - Uno scenario drammatico in cui, però, si
condivide il male, in cui si condividono le sofferenze. Il fatto di aver sofferto
tanto, può finalmente far capire che bisogna andare oltre…
R. - Questo è il
mio augurio. Questo è il nostro augurio. A livello di patriarcato e di diocesi, sia
in Cisgiordania sia qui, abbiamo decretato tre giorni di preghiera e di digiuno per
la pace.
Quali i passi ancora da fare? Risponde al microfono di Giancarlo
La Vella l'economo della Custodia francescana di Terra Santa, padre Ibrahim
Faltas:
R. - E’ importante, la tregua, ma dobbiamo chiederci perché è successo
tutto questo. In questi anni, veramente non si è fatto più nulla, non c’è stato più
alcun dialogo, né trattative per risolvere la questione mediorientale. E’ come se
questa terra fosse stata dimenticata da tutti. E per questo, quando non c’è dialogo,
quando non c’è incontro tra le parti, succedono queste cose. In otto giorni abbiamo
visto violenza, morti, abbiamo assistito ad una situazione terribile, soprattutto
all’uccisione di tantissimi bambini! Penso che dobbiamo aiutare i due governi a sedersi
ad un tavolo di dialogo, di riprendere le trattative per trovare una soluzione che
consenta ad entrambe le popolazioni di vivere una situazione di pace, di sicurezza
e di dignità. Deve intervenire tutta la comunità internazionale!
Quali i rischi
di una situazione ancora difficile e che potrebbe precipitare nuovamente? Lo abbiamo
chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali
all’Università di Firenze:
R. - Questa
è una tregua breve. Può essere un primo passo verso qualcosa, ma non va dimenticato
che Israele e Hamas non si riconoscono e che tutta questa settimana di guerra tra
questi due soggetti ha messo in ombra l’unico soggetto dei palestinesi con cui si
dovrebbe davvero avere un dialogo, perché c’è già un riconoscimento effettivo e cioè
l’Autorità palestinesi di Abu Mazen.
D. - Si parla, comunque, di successo
diplomatico, raggiunto grazie all’Egitto e alla presenza di Hillary Clinton nella
regione…
R. - L’Egitto è un grande Paese e Gaza sta appiccicata all’Egitto:
è logico, quindi, che l’Egitto intervenga. Lo ha fatto molto bene e soprattutto l’ha
fatto non da solo, ma assieme alla Turchia di Erdogan e altri partner arabi, come
la Tunisia e il Qatar. Quindi l’Egitto dei fratelli musulmani, in realtà, è un elemento
di stabilità nell’area.