Benedetto XVI riceve il presidente di Haiti, Michel Joseph Martelly
Benedetto XVI ha ricevuto ieri il presidente di Haiti, Michel Joseph Martelly, che
poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, accompagnato
da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i cordiali
colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono state passate in rassegna le buone
relazioni esistenti fra la Santa Sede e lo Stato. Si è quindi ricordato il particolare
contributo offerto dalla Chiesa, tramite le sue istituzioni educative, sociali e caritative,
particolarmente durante il terremoto che ha colpito il popolo haitiano e nella fase
di ricostruzione del Paese. Nel corso della conversazione ci si è infine soffermati
sull’importanza di continuare a collaborare per lo sviluppo armonico della società
haitiana”.
Haiti, tra i Paesi più poveri al mondo, colpito da innumerevoli
calamità, resta sovente in ombra sulla scena politica internazionale. Ma quali sono
le condizioni attuali della popolazione dopo il terremoto del gennaio 2010, l’insorgere
dell’epidemia di colera ed il passaggio dell’uragano Sandy nell’ottobre scorso? Roberta
Gisotti ha intervistato Luca Guerneri, responsabile di Terre des Hommes
per i Progetti in aiuto di Haiti:
R. – La situazione
dopo il terremoto è enormemente cambiata perché effettivamente non si vedono macerie.
Si vedono anche opere che hanno fatto le Ong e le organizzazioni internazionali per
quanto riguarda la capitale. Purtroppo permane un problema gravissimo, quello del
dissesto idrogeologico, per cui qualsiasi elemento naturale - che può essere una pioggia
forte, o una nuova scossa di terremoto, o anche movimenti dei fronti delle montagne
- fa sì che ci si trovi perennemente in emergenza. Per cui le case crollano, le popolazioni
devono cambiare zona di residenza e, soprattutto, si assiste ad una mancanza piuttosto
accentuata di interesse per ciò che attiene alla prevenzione di queste continue emergenze
ad Haiti.
D. - Le autorità che cosa fanno e che cosa fanno anche le presenze
internazionali?
R. – Purtroppo si registra uno Stato che, non posso dire sia
del tutto assente, ma senz’altro, è uno Stato molto debole. La storia di Haiti, con
tutta una serie di colpi di Stato e di ministri che durano il lasso di una stagione,
ha portato a far sì che la comunità internazionale abbia supplito molto spesso nella
pianificazione degli interventi e abbia deciso chi, come e dove eseguire gli interventi,
senza che ci sia stata una regia. Per cui, c’è effettivamente una sorta di distribuzione
a pioggia degli aiuti ma che assolutamente non aiuta il Paese a cambiare marcia e
a cambiare registro.
D. - Quindi manca un coordinamento?
R . – Assolutamente
sì.
D. - E forse manca un intervento più decisivo ad eliminare le cause di
tanta distruzione?
R. - La causa che forse sarebbe da affrontare con maggiore
energia riguarda le zone rurali, dove purtroppo, oltre al dissesto idrogeologico,
si registra una mancanza di strade ed una mancanza di possibilità per le famiglie
di avere servizi e scuole. Per cui la gente è portata ad inurbarsi - ormai l’area
urbana di Port-au-Prince raccoglie il 33 per cento della popolazione haitiana - e
questo fa sì che si concentrino aiuti nella città di Port-au-Prince ma nello stesso
tempo non viene affrontato il nodo della povertà rurale, che è quella che poi genere
un ulteriore impoverimento e pressione delle bande criminali sulla capitale.
D.
- Per quanto riguarda la diffusione del colera?
R. – Purtroppo il colera è
tutt’altro che un’emergenza, è una pandemia che è destinata a rimanere nel Paese fino
a che non verranno affrontati le cause a monte. Per quanto attiene all’area urbana
di Port-au-Prince, abbiamo “slum” che riuniscono mezzo milione persone che sono senza
latrine. Questo è un caso che abbiamo seguito molto bene, la famosa municipalità Cité
Soleil, che viene molto spesso tirata in ballo, perché è un coacervo di malessere,
di criminalità e di povertà. In questa comunità ci sono 200 blocchi di latrine comunitarie
che non funzionano. Contrastare il colera senza poi dare alla gente la possibilità
di gestire il ciclo delle acque reflue e il ciclo dei rifiuti umani porta a non risolvere
il problema sul lungo periodo. Per cui ci si limita molto spesso, con tanto coraggio,
con tanto buon cuore, a fare interventi sanitari di aiuto alle popolazioni, ma non
si affronta la prevenzione che è quello che dovrebbe portare poi il Paese a liberarsi
di questo tipo di malattia.