2012-11-21 15:30:05

Giornata mondiale Tv. Mons. Viganò: no a linguaggi violenti, informare con equilibrio


Ogni giorno accompagna la nostra vita in ogni angolo del pianeta e tutt’ora rappresenta il principale mezzo di comunicazione di massa. Nella Giornata mondiale della televisione che ricorreva ieri, l’Onu richiama la responsabilità di questo media nel diffondere contenuti ispirati alla pace e all’integrazione sociale. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Dario Edoardo Viganò, docente di Comunicazione alla Pontificia Università Lateranense:RealAudioMP3

Di fronte alla tv, ancora oggi vi è un numero maggiore di spettatori rispetto a ogni altro media. A livello mondiale, il consumo televisivo supera le quattro ore al giorno, rispetto ai circa 30 minuti di Internet e ai 15 minuti dei social network. Inoltre, i contenuti televisivi sono maggioritari nella Rete, dove navigano soprattutto i giovani. Insomma, la Tv messa alla porta dal web è rientrata dagli schermi di pc, tablet e smarthphone. Mons. Viganò, la Tv può giocare un ruolo formidabile nel promuovere valori positivi ma anche negativi: a chi spetta vigilare?

R. - Prima della vigilanza, io credo spetti alla coscienza dei professionisti. Troppo spesso, ad esempio, la televisione - dai talk show ai dibattiti, ma anche negli stessi telegiornali - fa un uso sconsiderato di una grammatica troppo violenta: qualunque cosa diventa una catastrofe, qualunque elemento di dibattito diventa uno scontro. Io credo che, anzitutto da parte dei professionisti, ci voglia la consapevolezza che le parole hanno un peso e questo è importante. Ci vuole una professionalità decisamente superiore di quella che oggi è continuamente esposta nel piccolo schermo, che tenga conto che il linguaggio è la forma propria del racconto della propria identità e della propria società. Secondo aspetto, la vigilanza: una vigilanza che sia capace da una parte di non eludere posizioni differenti da quelle maggioritarie e che dall'altra dia libera cittadinanza a visioni anche diverse, nel rispetto però delle regole democratiche e nel rispetto delle singole persone.

D. - Sappiamo che la tv è potente veicolo di omologazione di stili di vita e tendenze al consumo attraverso format, reality, pubblicità dove lo spettatore piuttosto che avere un’identità di cittadino, viene considerato un consumatore quando non una merce da vendere…

R. - Purtroppo, che il cittadino più che titolare di diritti sociali diventi un consumatore si è visto anche soprattutto in queste ultime settimane nei dibattiti politici e questa è una deformazione. Ciascuno di noi è prima di tutto una persona con una dignità, con una necessità di legami sociali e con dei diritti, perché questi legami sociali vengano mantenuti coesi e a questi venga data la possibilità di essere espressi.

D. - Si chiede più responsabilità agli operatori televisivi a tutti i livelli, ma anche forse responsabilità del pubblico a rivendicare oppure ad avere coscienza dei propri diritti comunicativi…

R. – Sì, non è sufficiente che qualcuno eserciti il diritto di informazione, ma è necessario che il pubblico reclami il diritto di un’informazione "buona", un’informazione adeguata, proporzionale con un linguaggio capace di esprimere la gradualità delle situazioni. Ad esempio, un dibattito politico non è uno "scontro": utilizziamo troppo linguaggio tipico della guerra e questo non va bene.

Ultimo aggiornamento: 22 novembre







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