Educare all'incontro: una sfida che investe la Chiesa. Se ne parla ad un Convegno
di Migrantes
“Educare all’incontro” per “non cedere alla sfiducia e alla paura”. E’ la sollecitazione
che emerge dai tanti interventi al Convegno nazionale della Fondazione Migrantes in
corso a Roma e promosso nel suo 25° anniversario. “La Chiesa è il cuore di Gesù nel
mondo, è le sue braccia”, ha detto ieri sera il presidente della Cei, il cardinale
Angelo Bagnasco, nella Messa celebrata per i partecipanti. “Essa, ha continuato,
è chiamata ad essere casa accogliente, a generare il calore della famiglia, quella
dei figli di Dio”. La migrazione è sentita da molti come una minaccia, aveva affermato
mons. Paolo Schiavon, presidente della Migrantes, aprendo i lavori, ma è un'occasione
provvidenziale di promozione umana ed è “una questione morale che occupa e preoccupa
la Chiesa”. Adriana Masotti ne ha parlato con mons. Giancarlo Perego,
direttore generale della Fondazione:
R. – Preoccupa
la Chiesa perché è una sfida educativa, la sfida appunto dell’incontro con persone
di 198 nazionalità diverse. E’ una sfida non facile ed è una sfida morale, perché
significa mettere a confronto anche stili di vita e quindi ripensare la nostra vita
a partire da altre esperienze: esperienze culturali, esperienze religiose ecc… In
questo senso allora l’immigrazione diventa una questione non solo nazionale, ma anche
una questione della Chiesa italiana.
D. – Il Papa nel messaggio per la prossima
Giornata mondiale del migrante dice che la pastorale migratoria della Chiesa non è
mero assistenzialismo, ma è promuovere soprattutto l’autentica integrazione. Voi con
il vostro lavoro, in questi 25 anni, è questo che cercate di fare?
R. – Certamente.
La caratteristica di Migrantes è proprio un’azione pastorale centrata sull’incontro
tra persone, sulla capacità di un’accoglienza che parte dal valore della persona.
Tante volte noi li vediamo come i poveri, li vediamo come i criminali e in questa
maniera falsiamo la realtà e l’identità di un immigrato, che invece prima di tutto
è una persona, una famiglia di lavoratori. E’ da tutto questo che invece noi partiamo
per costruire integrazione, per costruire una relazione nuova dentro le nostre città
e dentro le nostre comunità.
D. – Questa disposizione, quest’apertura della
mente, non solo del cuore, quanto è diffusa nella comunità ecclesiale?
R. –
Io credo che ci siano bellissime esperienze nelle nostre diocesi che lavorano in questa
direzione e che stanno trasformando le nostre comunità proprio in laboratori in cui
costruire integrazione. Anche nelle nostre comunità tante volte si respira aria di
diffidenza e di paura. I vescovi italiani ricordano il tema della paura come uno degli
aspetti su cui effettivamente occorre lavorare per costruire una Chiesa differente
e capace di incontri. E’ un lavoro culturale, oltre che pastorale, importante, cui
dobbiamo abituarci nelle nostre comunità.
D. – Ricordando che il tema del vostro
convegno è “La salvezza è sempre altrove. Educare all’incontro”, mons Crociata, ha
dato alcune indicazioni di percorsi educativi. Che cosa pensa di questo? E’ vero che
ci vuole anche una “strategia”, per questa educazione?
R. – Certamente, i percorsi
pastorali che mons. Crociata ha indicato vanno proprio nella direzione di ripensare
la pastorale, a partire dall’incontro e dalla valorizzazione degli altri, dove negli
altri oggi ci sono soprattutto persone che provengono da altri Paesi. In questo incontro
con gli altri, dobbiamo riuscire a riconoscere un’identità differente, riconoscere
la capacità di un nuovo dialogo ecumenico, interreligioso, la capacità di esperienze
di inclusione, dentro le nostre realtà pastorali, di persone che arrivano con una
ricchezza culturale e religiosa. Quindi, l’apertura dei Consigli pastorali, dell’associazionismo,
dei movimenti a queste esperienze degli immigrati, facendoli diventare un valore aggiunto
da accompagnare gradualmente perché siano protagonisti nel cammino delle nostre Chiese.
D.
– La Fondazione Migrantes compie 25 anni. Ci può tracciare un breve bilancio? So poi
che, in questi giorni, presenterete anche un nuovo statuto...
R. – Sì, sono
stati 25 anni in cui sostanzialmente Migrantes ha accompagnato questa storia dell’immigrazione
in Italia e l’accoglienza di percorsi pastorali nel mondo dello spettacolo viaggiante
- i circensi, i fieranti, il mondo dei rom e dei sinti - quindi l’attenzione alle
minoranze. Credo che questa storia di 25 anni abbia reso anche più belle le nostre
chiese, perché le hanno aperte all’accoglienza, e il futuro riparte da questa parola.