Sierra Leone: forte affluenza alle urne. Si aspettano i risultati del voto
Pacifiche, ordinate e caratterizzate da una forte partecipazione: missionari saveriani
da anni in Sierra Leone descrivono in questi termini all'agenzia Misna le elezioni
presidenziali, legislative e amministrative che si sono svolte sabato scorso, dieci
anni dopo la fine della guerra civile nel piccolo paese dell’Africa occidentale. “Questo
fine-settimana ha fatto onore alla Sierra Leone” dice alla Misna padre Luigi Brioni,
un missionario saveriano che dirige l’emittente Radio Maria a Makeni, la principale
città del nord del Paese. “Al di là di alcune contestazioni relative a casi specifici
e molto locali – sottolinea padre Brioni – durante lo scrutinio e poi ancora ieri
non ci sono stati momenti di difficoltà: la gente ha votato in modo ordinato, in un
clima sereno”. Il giudizio dei missionari coincide nella sostanza con quello espresso
dagli osservatori stranieri e dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
“L’affluenza alle urne e la calma in tutto il Paese – ha sottolineato in una nota
Ban Ki-moon – sono una dimostrazione chiara del desiderio di pace, democrazia e sviluppo
dei sierraleonesi”. Come già annunciato prima del voto, per i risultati bisognerà
attendere giorni, forse addirittura una settimana. Un fatto previsto, sottolineano
i missionari saveriani, ma che rende necessaria una cautela particolare. “È fondamentale
– dice padre Brioni – che di fronte al diffondersi di voci e proclami di vittoria
non confortati da dati ufficiali prevalga ancora il rispetto reciproco e il senso
del bene comune”. Sabato circa due milioni e 600.000 aventi diritto sono stati chiamati
alle urne per rinnovare il parlamento e i consigli comunali. Il voto più importante,
però, riguarda la massima carica dello Stato. Il presidente Ernest Bai Koroma, candidato
dell’All People’s Congress (Apc), cerca un secondo e ultimo mandato. Lo sfidante principale
è Julius Maada Bio, ex capo di Stato che rappresenta il Sierra Leone People’s Party
(Slpp). Un ruolo potrebbe avere anche Charles Francis Margai, figlio di un ex primo
ministro che corre con il People’s Movement for Democratic Change (Pmdc). Se nessuno
dei candidati alla presidenza avesse ottenuto il 55% dei voti sarebbe necessario un
ballottaggio, come avvenne nel 2007. (R.P.)