Raid israeliani a Gaza: oltre 90 morti. Continuano i lanci di razzi di Hamas
Decine di raid aerei in poche ore, oltre mille obiettivi di Hamas colpiti, oltre 90
palestinesi uccisi, tra i quali molti bambini, in sei giorni di operazioni. Questi
i numeri delle incursioni israeliane su Gaza. Tre le vittime israeliane dei razzi
lanciati da Hamas. Una situazione che preoccupa la diplomazia internazionale, impegnata
febbrilmente nella ricerca di una soluzione all’intricata vicenda. In prima linea
la Lega Araba, che domani invierà nella Striscia una delegazione di ministri degli
Esteri di 7 Paesi arabi, accompagnati dal collega turco Davutoglu. Una presenza, quest’ultima,
che evidenzia il ruolo di primo piano assunto da Ankara; il premier turco Erdogan
è intervenuto in prima persona, parlando di “atti di terrorismo” compiuti da Israele.
Ma quale può essere, arrivati a questo punto, la giusta via di uscita da una crisi
che rischia davvero di deflagrare e fare da miccia per l’intero Medio Oriente? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto a Ennio Di Nolfo, docente emerito di Relazioni Internazionali
presso l’Università di Firenze:
R. - Mi pare
che l’unica via di uscita attuale sia o il successo della mediazione turca ed egiziana
o il successo - se così si può dire - di un’azione militare limitata di Israele nella
Striscia di Gaza. Ovviamente, tra le due, c’è una differenza fondamentale!
D.
- Gli Stati Uniti hanno assunto - anche in questo caso - una posizione un po’ defilata:
la stessa che ha caratterizzato i primi quattro anni di amministrazione Obama. Ora
quali potrebbero essere le mosse della Casa Bianca?
R. - Io credo che la Casa
Bianca abbia due possibilità di azione. La prima è sostenere fino in fondo il governo
turco, che è uno dei principali alleati della Nato; l’altra, non far mancare - a causa
dei sospetti recenti - il proprio appoggio sia all’Egitto, sia ad Israele, ma segnalare
anche ai palestinesi i rischi che un eccesso di intransigenza può provocare.
D.
- Sono in molti a ritenere che dietro l’attacco a Gaza ci sia l’intenzione di muovere,
da parte di Israele, un attacco a Teheran. Ma senza l’appoggio di Washington, questo
ovviamente sarebbe molto difficile…
R. - Credo che nessuno voglia la guerra
nell’area in questo momento: qualsiasi conflitto provocherebbe una catastrofe, nella
quale lo stesso Israele finirebbe per essere travolto da quello che può accadere.
Mi pare, quindi, che Washington debba e possa soltanto intervenire nella maniera orientata
verso la pacificazione.
D. - Lei ha parlato dell’Egitto, un Paese che esce
da una rivoluzione come quella delle “primavere arabe”: ci possiamo attendere qualche
sorpresa, in questo momento? Il presidente Morsi si gioca la sua credibilità e gioca
il ruolo del suo Paese a livello internazionale…
R. - Certo, però a mio parere
esiste un aspetto della situazione che pochi valutano e cioè il fatto che tra Egitto
ed Israele vi sia un elemento di contiguità e di interesse comune, che costringe quindi
i due Paesi non a combattersi, ma a mettersi d’accordo. Questo elemento è rappresentato
dalla situazione della Penisola del Sinai che, dal punto di vista della sovranità,
è egiziana, ma che di fatto è percorsa da gruppi islamisti, estremisti, qaedisti e
quindi sfugge al controllo del governo egiziano. E’ interesse di entrambi ricondurre
questa regione sotto un controllo stabile.
D. - Per quanto riguarda, invece,
la Turchia che gioca un ruolo importantissimo in questa crisi, forse bisognerebbe
riflettere sul fatto che si lascia il destino del Medio Oriente in mano ad un Paese
che arabo non è...
R. - Questa cosa è molto importante! In realtà la Turchia
è un Paese cerniera, ma non dobbiamo dimenticare che è anche il Paese che contende
all’Italia il dominio del Mediterraneo. La Turchia è legata all’Alleanza Atlantica
dal 1952, ma in realtà dal ’47 con la Dottrina Truman, e ha un vincolo che non può
essere tagliato, perché tagliarlo significherebbe distruggere le possibilità di manovra
che ha la Turchia sia verso il continente europeo, sia verso il Medio Oriente.
D.
- A proposito dell’Europa, non crede che questa sia l’occasione per far sentire il
suo peso diplomatico e strategico? Dopotutto il Medio Oriente è, per il vecchio continente,
davvero dietro l’angolo…
R. - Lo sarebbe se l’Europa avesse una politica estera,
ma purtroppo la politica estera europea è divisa tra gli orientamenti non convergenti
dei vari Paesi e tra la volontà di primato di qualche Paese sugli altri.