2012-11-19 11:58:38

EDITORIALE EUROPEO


Povertà ed esclusione sociale in Europa

Da Atene a Lisbona, dall’Italia alla Spagna, centinaia di migliaia di cittadini europei sono scesi in piazza contro le politiche di austerità, preoccupati del loro futuro e di quello dei figli. La crisi, evidentemente, non è più solo economica. Coinvolge il modello di società, l’etica dei rapporti individuali e collettivi. E’ una crisi che mette in discussione classi dirigenti e mondo del lavoro, politici e società civile, chiese e comunità di fede. Con conseguenze inaspettate. A tutti, in egual misura, richiede un’assunzione di responsabilità che si potrebbe riassumere in tre parole chiave: sobrietà, giustizia, carità.

E’ sempre più evidente che sono i comportamenti individuali e collettivi ad assecondare le scelte della politica, del mondo economico, delle amministrazioni. E’ per questo che vengono oggi utilizzati con un uso propagandistico i mezzi di comunicazione per orientare tali comportamenti. La sobrietà richiama al rispetto della dignità delle persone come delle risorse materiali, alla correttezza nella loro destinazione, ad un uso a beneficio di tutti e non solo della propria parte.

Se guardiamo alle cifre, i dati sono eloquenti. In Europa si calcola che vi siano 80 milioni di persone che vivono in povertà, più del 16% dell’intera popolazione dell’UE. La maggior parte sono donne e 20 milioni bambini. Le percentuali più alte di persone minacciate dalla “povertà o dall’esclusione sociale” sono state registrate in Bulgaria (41,6%), Romania (41,4%), Lettonia (38,1%), Lituania (33,4%), Ungheria e Irlanda (29,9%), Grecia (27,7%), Spagna (25,5%) e Italia (24,5%).

Ad aggravare il quadro europeo, c’è poi un 22% di quelli che lavorano che sono a rischio povertà o che vivono in famiglie definite “con intensità di lavoro molto bassa”. Qui i paesi più a rischio sono Irlanda (22,9%), seguono Regno Unito (13,1%), Belgio (12,6%), Lettonia (12,2%), Germania (11,1%), Danimarca (10,3%) e Italia (10,2%).

Occorre dunque rifare posto alla giustizia, “la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare”, come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, sullo sviluppo umano integrale.

La disoccupazione, in aumento tra i giovani - nella media comunitaria il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 21,4%, ma è superiore al 25% in undici paesi -, tra gli immigrati e le persone poco qualificate, non è solo un problema economico. Priva queste persone del loro posto nella società, umilia il loro possibile contributo alla crescita dei rispettivi paesi, impedisce loro di essere artefici del futuro proprio e delle proprie famiglie. Né si può ignorare che su questo problema ha un impatto diretto l’eventuale riduzione di risorse destinate all’istruzione e alla formazione.

In questa situazione bloccata, come hanno scritto i vescovi italiani, si rischia di alimentare “la rabbia degli onesti, a cui si affianca il grido degli esclusi, di chi si sente oggi sostanzialmente estraneo alla società, senza parola, inascoltato".

Giustamente l’Unione Europea ha intitolato la sua piattaforma contro la povertà e l’esclusione sociale, un quadro europeo per la coesione sociale e territoriale. Trattandosi di uomini e donne, aggiungiamo che in questo quadro la carità può essere riconosciuta come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica, per motivare la speranza e stimolare il concorso di tutti. Come ci ricorda Benedetto XVI, la “città dell'uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. Lo stesso sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia, che collabora in vera comunione ed è costituita da soggetti che non vivono semplicemente l'uno accanto all'altro.

Pietro Cocco, giornalista della Radio Vaticana







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