L'Apostolato del mare a congresso. Card. Vegliò: molto da fare per tutelare chi lavora
in nave
“La nuova evangelizzazione nel mondo marittimo” è il tema del 23.mo Congresso mondiale
dell’Apostolato del Mare, in programma in Vaticano, nell’Aula del Sinodo, da oggi
fino al 23 novembre. Obiettivo principale dell’incontro, organizzato dal Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, è individuare nuovi modi
per comunicare il Vangelo nel mondo del mare e quindi nell’ambiente dei marittimi,
dei pescatori, e delle rispettive famiglie. Fabio Colagrande ne ha parlato
con il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero che organizza
il Congresso:
R. - Negli ultimi
anni, si sono registrati profondi cambiamenti nel mondo marittimo che hanno condizionato
anche la vita spirituale di quanti vi lavorano e delle loro famiglie. Per rilanciare
la nuova evangelizzazione, attingeremo innanzitutto dai risultati del 13.mo Sinodo
dei Vescovi da poco conclusosi, e al quale io stesso ho partecipato, potendo così
toccare con mano la necessità di rinvigorire le forze, tornare alla fonte della nostra
fede, per proporre il mistero cristiano con efficacia e rispondere alle esigenze del
nostro tempo. Questo Congresso dell'Apostolato del Mare si svolge nell'Anno della
Fede appena inaugurato, e questo ci spinge ad impegnarci ancor più per cercare “risposte
pastorali adeguate ai problemi della gente di mare” e portare la Buona Novella nei
porti e a bordo di tutte le navi che ancorano nei diversi scali del mondo, proprio
come ci aveva invitato a fare il Santo Padre nell'Udienza concessa nel febbraio scorso
ai Coordinatori regionali dell'Apostolato del mare. Si dovrà, inoltre, tener conto
che, nonostante il maggior numero di marittimi provenga ancora dalle Filippine, la
nuova realtà è rappresentata dai circa 200 mila marittimi originari della Russia e
dell'Ucraina che, da sola, ne fornisce oltre 80 mila. Tale situazione ci impone di
prestare particolare attenzione a questo grande numero di lavoratori del mare, appartenenti
ai riti orientali della Chiesa cattolica e ai cristiani ortodossi o di altra denominazione.
Naturalmente, non dobbiamo dimenticare l’assistenza ai marittimi che fanno scalo anche
nei porti dei Paesi musulmani.
D. - Quali sono gli aspetti più critici che
oggi minacciano la vita della gente di mare?
R. - Oggi, anche la gente di mare
subisce le pressioni di un mondo globalizzato, fortemente toccato della crisi economica
mondiale. Fra gli aspetti più critici con i quali essi devono confrontarsi, vi sono
le difficoltà a sbarcare nei porti a motivo delle soste sempre più brevi e dell'ubicazione
dei nuovi porti lontano dalle città. Le necessarie leggi antiterrorismo rischiano
di obbligare i marittimi a rimanere a bordo concedendo permessi di sbarco sempre più
limitati e a volte assenti. La nave, inoltre, può essere un luogo d’isolamento e solitudine,
in quanto è stato ridotto il numero dei componenti degli equipaggi e le diverse nazionalità
e lingue non agevolano le relazioni. I lunghi mesi in mare fanno sentire molto ai
marittimi la lontananza dalla famiglia, dagli affetti, dagli amici e dalla loro comunità
ecclesiale. Questo è in assoluto il maggior peso che essi avvertono. Un problema relativamente
nuovo è quello della criminalizzazione dei marittimi. Il comandante ed il suo equipaggio,
a causa di una ormai antica legislazione internazionale della navigazione, sono considerati
spesso gli unici responsabili anche di fronte a facili scelte economiche dell’armatore.
Sono sempre più frequenti gli episodi di abbandono delle navi con interi equipaggi
a bordo. Spesso, infatti, di fronte alle richieste di creditori o della Guardia Costiera
di riparare una nave per renderla sicura l'armatore, per non affrontare le forti spese,
preferisce abbandonarla assieme all’equipaggio, che viene a trovarsi in porti stranieri
senza cibo e senza risorse. In questo momento, a titolo di esempio, vorrei segnalare
la nave da carico italiana “Gina Iuliano”, che dal 5 giugno scorso è stata bloccata
nel porto indiano di Vizag dai creditori della compagnia armatrice fallita. Con orgoglio
posso dire che i Centri dell'Apostolato del Mare (Am), disseminati nei porti di tutto
il mondo e denominati “Stella Maris”, accolgono i marittimi nei porti, e particolarmente
questi più bisognosi, fornendo ogni cosa necessaria: dal cibo all’acqua per bere e
lavarsi, ma anche dando il contatto con i sindacati a terra o la possibilità di chiamare
casa. I centri dell'Am sono chiamati, dai marittimi, la loro “casa lontano da casa”,
e oltre alle cose materiali forniscono davvero un ambiente familiare e tutto il supporto
anche psicologico e religioso nel rispetto di tutti e senza fare differenza tra le
persone.
D. - Quali miglioramenti concreti porterà la nuova Convenzione IL0
(International Labour Organization) sul lavoro marittimo, in vigore dal prossimo agosto?
R.
- LaConvenzione sul Lavoro Marittimo (o Mlc 2006) è uno strumento legislativo
internazionale, volto a migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei marittimi
del mondo. La Mlc 2006, finalmente ratificata da oltre 30 Stati che rappresentano
il 60% del trasporto marittimo mondiale, entrerà in vigore il 20 agosto 2013. Sarà
un vero e proprio codice internazionale sul benessere nel lavoro marittimo. La Convenzione
tratta di temi ormai ovvi ai molti ma non a tutti, come stabilire l'età minima dei
marittimi, i limiti delle ore di lavoro e le necessarie ore di riposo, il controllo
medico costante insieme all’attenzione per una alimentazione sempre più “multietnica”
o garantire un minimo di assistenza sociale e sanitaria. Questa convenzione include
specifiche disposizioni atte a "garantire che i marittimi in servizio a bordo di una
nave abbiano accesso a strutture e servizi a terra per salvaguardare il loro stato
di salute e benessere". Ciò è importante perché sottolinea come non sia solo l’armatore
a dover provvedere a un “ambiente lavorativo sereno e giusto”, ma anche i porti devono
offrire quelle “strutture di welfare” necessarie a garantire i servizi sociali, della
salute, dello sport, oltre che di comunicazione con casa e di attenzione alla persona.
Si tratta di servizi che i Centri Stella Maris svolgono da oltre 100 anni in modo
volontario ma che, presto, le autorità portuali - secondo la Convenzione (art. 4.4.)
- dovranno sostenere e mettere a punto insieme alle nostre organizzazioni sparse nei
porti di tutto il mondo. Lo strumento giuridico della Convenzione internazionale della
Mlc avrà valore di legge per tutti gli Stati che appartengono all’Ilo (l'Organizzazione
Internazionale del Lavoro - ndr) e che rasentano la totalità dei Paesi che trasportano
merci e passeggeri nel mondo intero. Sarà necessaria la collaborazione anche dell’Apostolato
del Mare per vigilare affinché questo prezioso strumento venga applicato secondo lo
spirito del legislatore per non lasciare più gli equipaggi abbandonati a se stessi
e chiedendo - come dice la Convenzione - maggiore rigore agli armatori che, sino ad
oggi, hanno voluto risparmiare sull’elemento umano. La Convenzione stabilisce tre
livelli di responsabilità: dello Stato di bandiera (ossia della legislazione vigente
a bordo della nave), dello Stato di approdo e del fornitore di manodopera. Le certificazioni
sul lavoro marittimo e gli attestati di conformità previsti dalla Mlc verranno continuamente
verificati in particolare dalla Guardia Costiera dei porti, per accertare che siano
rispettate tutte le condizioni che garantiscano ai lavoratori del mare un “lavoro
veramente dignitoso”.
D. - Come dicastero vaticano, auspicate anche che sia
presto operativa la Convenzione sul lavoro dei pescatori. Perché è così importante?
R.
- Vorrei innanzitutto dire che nel settore della pesca, pur non essendoci statistiche
precise, si stima vi lavorino circa 36 milioni di pescatori, di cui ca. 15 milioni
impiegati a bordo di pescherecci. Ogni anno, sono soggetti a infortuni il 10% dei
pescatori in generale e il 15% di quelli su imbarcazioni per la pesca a strascico.
Diverse organizzazioni internazionali considerano il lavoro nella pesca tra i più
pericolosi al mondo, infatti la pesca è al vertice o quasi delle statistiche di mortalità.
Durante il nostro Congresso, affronteremo l'argomento pescatori proprio nel giorno
in cui ricorre “la Giornata della Pesca”, che si celebra nel mondo il 21 novembre.
In alcuni Paesi, i pescatori e i marittimi sono governati dalle stesse leggi e regolamenti.
In altri Paesi non è così. L’equivalente convenzione della Mlc 2006 per i marittimi
è la Convenzione n. 188 sul Lavoro e il benessere nel settore della Pesca. Purtroppo,
non siamo ancora giunti alle ratifiche necessarie affinché diventi operativa. La Convenzione
richiede diversi diritti, come la possibilità di cure a terra per i pescatori ammalati
o infortunati e intervalli di riposo per garantire salute e sicurezza sul lavoro.
Prevede, tra l’altro, che grandi navi da pesca impegnate in lunghi viaggi possano
essere soggette a ispezioni nei porti d’attracco all’estero, per assicurare che i
pescatori a bordo non lavorino in condizioni nocive per la salute o pericolose per
la sicurezza. I controlli sul naviglio consentirebbero di eliminare le barche inadatte
a garantire la dignità del lavoro e le condizioni di vita sufficienti per i pescatori.Un'attenzione particolare è rivolta anche ai giovani, con leggi sull'età minima
per il lavoro in mare, per proteggerli dai pericoli e tutelare la scolarizzazione.
Il nostro Pontificio Consiglio auspica che tale Convenzione divenga quanto prima operativa.
D.
- Tra i temi emergenti al Congresso ci sarà anche quello della pirateria marittima.
Cosa può fare la pastorale in questo campo?
R. - La pirateria marittima, tristemente
d'attualità, è un fenomeno crescente nelle acque del globo, che colpisce maggiormente
nelle aree dell’Oceano Indiano e in quelle adiacenti il Corno d’Africa. Nel 2010,
i marinai rapiti sono stati 1.181 e le navi sequestrate 53, delle quali ben 49 nelle
acque al largo della Somalia. A tutt'oggi, sono trattenute dai pirati somali oltre
una decina di navi e circa 200 membri di equipaggi di varie nazionalità. Complessivamente,
si stima in miliardi e miliardi di dollari il danno che gli attacchi della pirateria
fanno al sistema economico correlato con il trasporto delle merci via mare, la pesca
e il libero utilizzo delle acque internazionali. Naturalmente, ciò che maggiormente
preoccupa l'Apostolato del Mare è la vita dei marittimi e delle loro famiglie, messe
a rischio dai pirati e provate da tensione e paura che perdurano anche a lungo termine.
Si nota soprattutto un incremento della violenza nella gestione degli ostaggi, si
prolungano i tempi di detenzione e la capacità dei sequestratori di resistere nella
gestione complessiva delle trattative. Mentre nel 2009, si calcolava che sia gli ostaggi,
che le navi sequestrate e i carichi rimanessero nelle mani dei pirati per una media
di 45 giorni, oggi si è passati a circa 180 giorni di detenzione, con la prospettiva
di un ulteriore aumento e della recrudescenza di violenze e abusi sull'equipaggio
sequestrato. È necessario anzitutto che i marittimi, prima di attraversare quelle
acque tanto pericolose, siano sufficientemente avvisati su quanto potrà accadere,
sulle procedure messe in atto per tutelare loro e le loro famiglie. Mancano supporti
di comunicazione e di vicinanza a quanti, a casa, attendono incerti il ritorno dei
loro cari sequestrati. Non si pensa al supporto psicologico e morale lasciando troppo
all’oscuro, per ragioni di sicurezza, i familiari sulla sorte degli equipaggi. Mancano
garanzie di riconoscimento di malattia professionale per quanti, scioccati da tali
episodi, volessero interrompere la propria attività sulle navi perdendo il lavoro
e la professionalità maturata in anni di studi e navigazione. Il semplice ricorso
alle armi per difendere con maggiore decisione le navi e gli equipaggi, di fronte
a pirati senza scrupoli che non hanno nulla da perdere, non può essere una risposta
esaustiva al tema della pirateria. In territori come la Somalia, dove la gente muore
di fame e di sete, un dialogo possibile e certamente risolutivo potrebbe partire dagli
Stati ricchi del mondo affinché si impegnino a sconfiggere la carestia restituendo
una chance di vita alla popolazione e mostrando altre vie di sopravvivenza
oltre a quella criminale della pirateria. Durante il nostro Congresso, un avvocato
marittimo descriverà la sua lunga esperienza nel condurre negoziati con i pirati somali,
che si sono risolti con il rilascio di decine di navi e dei loro equipaggi. Sarà importante
anche la testimonianza del comandante della nave Savina Caylin, Giuseppe Lubrano,
che per mesi ha subito il sequestro dei pirati, anche perché dirà qual è stato il
ruolo della fede nel dargli forza fino al felice ritorno in libertà di tutti i membri
del suo equipaggio.