Sei gesuiti uccisi in Salvador, ventitre anni dopo "ferita aperta"
Luis Badilla Morales, Radio Vaticana E' una strage
che resta una ferita aperta per i salvadoregni. Si sa, infatti, chi sono stati i mandanti
e gli esecutori materiali di questa mattanza, ma, nel Paese, non c'é mai stato un
processo. Solo la giustizia spagnola ha aperto un procedimento perché alcune delle
vittime erano di quella nazionalità. Ma l'otto maggio scorso la corte suprema del
Salvador ha rifiutato definitivamente l'estradizione delle persone accusate della
strage. E' uno di quei casi in cui l'assenza di giustizia impedisce la riconciliazione.
E richiama altri episodi di cattolici uccisi in America Latina, negli ultimi cinquant'anni,
sui quali non è stata ancora detta una parola di verità. Il 16 novembre
1989, 23 anni fa, in Salvador - nel pieno della guerra civile terminata tre anni dopo
- sei padri gesuiti dell’Università Centroamericana José Simeón Cañas (Uca), venivano
uccisi assieme a una loro collaboratrice e alla giovanissima figlia. Una strage che
ebbe un ampio rilievo internazionale e in cui fin da subito risultò chiaro il coinvolgimento
dell’esercito. La ricorrenza viene celebrata in questi giorni nella preghiera
in Salvador e in altri paesi dell'America Latina. (Intervista a cura di Fabio Colagrande)