Riesplode la violenza in Medio Oriente. Una ventina le vittime tra israeliani e palestinesi
Ancora violenze in Medio Oriente. Nelle ultime 24 ore sono morti almeno 15 palestinesi,
tra cui due bambini, e tre israeliani. L’Egitto e la Russia condannano come “inaccettabili”
le azioni dello Stato ebraico volte a colpire i vertici di Hamas a Gaza. Per gli Stati
Uniti, Israele ha diritto a difendersi contro i razzi sparati dai palestinesi sul
proprio territorio. “Profonda inquietudine” è stata espressa in una nota dal Patriarcato
di Gerusalemme che invoca una “collaborazione internazionale” per porre fine al conflitto.
Benedetta Capelli:
Torna a preoccupare
la situazione mediorientale, già infiammata dallo scenario siriano. Dopo l’uccisione
ieri, da parte di Israele, di uno dei più importanti capi di Hamas, Ahmed Al Jaabari,
anche oggi non sono mancate le violenze. Un razzo lanciato dai miliziani palestinesi
a Kiryat, nel sud di Israele, ha provocato la morte di 3 persone ed il ferimento di
diversi civili, tra di loro anche un bambino di 4 anni. Sette i palestinesi uccisi
oggi nei raid israeliani. Ieri 8 palestinesi, tra cui due bambini, avevano perso la
vita a Gaza negli attacchi israeliani. Duecento gli obiettivi colpiti da Israele dall’inizio
dell’operazione. Stanotte il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su richiesta dell’Egitto,
si è riunito d’urgenza per discutere di quanto accaduto, nessuna dichiarazione formale
ma solo la richiesta che la violenza si fermi. Ad infiammare oggi sono le parole dello
stesso presidente egiziano Morsi che ha definito “inaccettabile” l'aggressione contro
Gaza. Sproporzionati gli attacchi israeliani: è la posizione della Russia mentre ieri
sera gli Stati Uniti hanno ribadito il diritto dello Stato ebraico all’autodifesa.
Concetto sottolineato al telefono dal presidente Obama al premier israeliano Netanyahu
e reiterato anche allo stesso presidente Morsi. Intanto al Cairo si è tenuta una manifestazione
a sostegno del popolo palestinese ed altre sono state annunciate. In Israele la Knesset
dovrà decidere sulla richiesta del ministro della difesa Barak di richiamare unità
di riserva.
Sulle nuove violenze israelo-palestinesi ascoltiamo il commento
di mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme,
al microfono di Thomas Chabolle:
“Quello che succede da qualche giorno
è un circolo vizioso di violenza: uno tira, l’altro risponde, senza misura, e si ci
sono vittime da entrambe le parti. Specialmente a Gaza, perché Gaza è una città sovrappopolata
e là dove arrivano gli attacchi, ci sono innocenti che muoiono. Siamo tristi per quello
che accade e adesso possiamo solo accompagnarli con la nostra preghiera, aspettando
che le Nazioni Unite, e specialmente gli Stati Uniti, intervengano con forza per impedire
un’altra guerra”.
Quali sono i rischi reali di questa nuova esplosione
di violenza tra isaraeliani e palestinesi? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Eric Salerno, esperto di Medio Oriente:
R. – Il rischio
vero è che questa tensione possa estendersi anche alla Siria, perché è evidente che
una situazione di questo genere a Gaza, provocata in questo momento sia da Hamas,
ovviamente, ma anche da questa accelerazione da parte di Israele, rischia di dare
segnali ad Assad e alle persone che stanno dall’altra parte nel conflitto, per cercare
di provocare un intervento internazionale.
D. – Di mezzo, però, c’è anche il
Libano…
R. – Sì, assolutamente. A Israele non interessava un’accelerazione
di questo tipo, in questo momento, se non per motivi preelettorali, perché si vota
il 22 gennaio in Israele. Nethanyau può aver detto: “Mi serve una cosa di questo genere”.
Ma c’è anche un altro motivo da non sottovalutare, che è quello di colpire e distruggere
il più presto possibile l’arsenale missilistico di Hamas. Questo significa che Israele,
in qualche modo, si vuole preparare a un eventuale attacco contro l’Iran e potrebbe
scegliere un motivo qualsiasi per fare la stessa cosa con Hezbollah in Libano.
D.
– Uno dei segnali più preoccupanti riguarda poi l’Egitto, che ha richiamato il proprio
ambasciatore da Tel Aviv. Il Cairo perde, dunque, ufficialmente il suo ruolo di mediatore,
ricoperto per tanti anni?
R. – Sì, questo senz’altro. Anche se bisogna ricordare
che quello al potere in questo momento al Cairo è un regime, perché è ancora un regime
governato dai Fratelli musulmani, guidato da un personaggio apparentemente moderato,
che è il presidente Morsi. E’ anche vero che i Fratelli musulmani, che sono gli stessi
di Hamas a Gaza, sono decisi ad andare su altre posizioni con Israele, ossia - lo
hanno detto ufficialmente - chiedono la revisione del Trattato di pace con Israele
per costringere lo Stato ebraico a rispettare quelli che erano gli accordi di Camp
David e ad arrivare alla soluzione della questione palestinese.
D. – Gli Stati
Uniti si sono schierati apertamente al fianco di Israele. “Ha diritto all’autodifesa”,
dice la Casa Bianca. Ma è un caso che questo attacco mirato su Gaza sia stato organizzato
e portato a termine subito dopo le elezioni americane?
R. – Io direi da una
parte sì, ma ci sono anche tante altre cose che stanno succedendo. Non bisogna dimenticare
che il 29 novembre all’Assemblea generale dell'Onu potrebbe venire presentata la richiesta
palestinese di riconoscimento dello Stato palestinese come Stato aderente, non formale.
Gli americani hanno già detto che non accettano questa ipotesi e Israele sta minacciando
cose terribili, come la defenestrazione, non si sa bene come, del presidente Abbas,
la denuncia degli accordi di Oslo e la fine del processo di pace. Può succedere di
tutto in questi mesi e in questi giorni.