Ancora razzi su Israele e bombardamenti sulla Striscia di Gaza
Ancora violenze in Medio Oriente. Nelle ultime 24 ore sono morte almeno 22 persone,
tra cui tre israeliani. Il premier israeliano, Netanyahu, ha detto che “Israele continuerà
a fare tutto quello che è necessario per difendersi”. Sull’altro versante, Hamas respinge
l’ipotesi di una tregua e annuncia che il premier egiziano si recherà oggi a Gaza.
L'escalation delle violenze provocate da Hamas contro Israele ''non serve ad aiutare
i palestinesi'': afferma la Casa Bianca, mentre il presidente russo Putin fa appello
ad "evitare l'escalation di violenza". Il servizio di Graziano Motta:
Sulle nuove
violenze israelo-palestinesi ascoltiamo il commento di mons. William Shomali,
vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme, al microfono di Thomas
Chabolle:
R. - Quello
che succede da qualche giorno è un circolo vizioso di violenza: uno tira, l’altro
risponde, senza misura, e si ci sono vittime da entrambe le parti. Specialmente a
Gaza, perché Gaza è una città sovrappopolata e là dove arrivano gli attacchi, ci sono
innocenti che muoiono. Siamo tristi per quello che accade e adesso possiamo solo accompagnarli
con la nostra preghiera, aspettando che le Nazioni Unite, e specialmente gli Stati
Uniti, intervengano con forza per impedire un’altra guerra.
Quali sono i rischi
reali di questa nuova esplosione di violenza tra israeliani e palestinesi? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto a Eric Salerno, esperto di Medio Oriente:
R. – Il rischio
vero è che questa tensione possa estendersi anche alla Siria, perché è evidente che
una situazione di questo genere a Gaza, provocata in questo momento sia da Hamas,
ovviamente, ma anche da questa accelerazione da parte di Israele, rischia di dare
segnali ad Assad e alle persone che stanno dall’altra parte nel conflitto, per cercare
di provocare un intervento internazionale.
D. – Di mezzo, però, c’è anche il
Libano…
R. – Sì, assolutamente. A Israele non interessava un’accelerazione
di questo tipo, in questo momento, se non per motivi preelettorali, perché si vota
il 22 gennaio in Israele. Nethanyau può aver detto: “Mi serve una cosa di questo genere”.
Ma c’è anche un altro motivo da non sottovalutare, che è quello di colpire e distruggere
il più presto possibile l’arsenale missilistico di Hamas. Questo significa che Israele,
in qualche modo, si vuole preparare a un eventuale attacco contro l’Iran e potrebbe
scegliere un motivo qualsiasi per fare la stessa cosa con Hezbollah in Libano.
D.
– Uno dei segnali più preoccupanti riguarda poi l’Egitto, che ha richiamato il proprio
ambasciatore da Tel Aviv. Il Cairo perde, dunque, ufficialmente il suo ruolo di mediatore,
ricoperto per tanti anni?
R. – Sì, questo senz’altro. Anche se bisogna ricordare
che quello al potere in questo momento al Cairo è un regime, perché è ancora un regime
governato dai Fratelli musulmani, guidato da un personaggio apparentemente moderato,
che è il presidente Morsi. E’ anche vero che i Fratelli musulmani, che sono gli stessi
di Hamas a Gaza, sono decisi ad andare su altre posizioni con Israele, ossia - lo
hanno detto ufficialmente - chiedono la revisione del Trattato di pace con Israele
per costringere lo Stato ebraico a rispettare quelli che erano gli accordi di Camp
David e ad arrivare alla soluzione della questione palestinese.
D. – Gli Stati
Uniti si sono schierati apertamente al fianco di Israele. “Ha diritto all’autodifesa”,
dice la Casa Bianca. Ma è un caso che questo attacco mirato su Gaza sia stato organizzato
e portato a termine subito dopo le elezioni americane?
R. – Io direi da una
parte sì, ma ci sono anche tante altre cose che stanno succedendo. Non bisogna dimenticare
che il 29 novembre all’Assemblea generale dell'Onu potrebbe venire presentata la richiesta
palestinese di riconoscimento dello Stato palestinese come Stato aderente, non formale.
Gli americani hanno già detto che non accettano questa ipotesi e Israele sta minacciando
cose terribili, come la defenestrazione, non si sa bene come, del presidente Abbas,
la denuncia degli accordi di Oslo e la fine del processo di pace. Può succedere di
tutto in questi mesi e in questi giorni.