Lavoro e solidarietà: giornata di scioperi in tutta Europa. Scontri e feriti in molte
città italiane
Giornata di mobilitazione ieri in tutti i paesi d’Europa, promossa dalla Confederazione
europea dei sindacati contro le politiche di austerità. Scioperi e cortei in tutta
Italia, e purtroppo anche incidenti, con decine di feriti tra forze dell’ordine e
manifestanti. In piazza la Cgil, mentre Cisl e Uil hanno scelto iniziative diverse
dallo sciopero. Servizio di Giampiero Guadagni:
Primo
sciopero generale transnazionale, una giornata europea contro l'austerity. E in Italia
è subito tensione. Scontri in diverse città in occasione della manifestazioni della
Cgil alle quali si sono aggiunte gli scioperi dei sindacati di base per la scuola
e cortei di studenti e centri sociali. Cinque agenti feriti a Milano, tre a Torino.
A Bologna blitz contro una sede della Cisl. A Roma sul Lungotevere sassi e bombe carta
dagli studenti contro le forze dell'ordine, che hanno risposto con cariche e lacrimogeni,
schierando anche i blindati. Nella capitale il bilancio parziale è di tre arresti,
60 fermati e 30 feriti. La Cgil ha condannato con fermezza tutti gli episodi di violenza.
Il segretario generale Susanna Camusso era alle acciaierie di Terni, scelte come simbolo
delle incertezze sul futuro produttivo italiano. “L'austerità sta strangolando il
lavoro e impoverendo il Paese”, ha detto la Camusso che ha attaccato il Governo Monti.
In Europa iniziative in 23 dei 27 paesi, con scioperi generali anche in Spagna, Portogallo
e Grecia. La richiesta è quella di un patto sociale europeo attraverso il quale fare
fronte alle urgenze dettate dalla crisi ma anche per introdurre elementi strutturali
di crescita e coesione per l'intera Unione europea.
La mobilitazione europea
di ieri evidenza le grandi difficoltà che un intero continente sta vivendo, proprio
in seguito alla crisi. Salvatore Sabatino ha chiesto un’analisi su questa situazione
al sociologo Nadio Delai: R. - C’è una tensione
tra i popoli e le loro classi dirigenti politiche, ma anche economiche, sociali e
culturali. Quando vince quello che io chiamo il "pensiero-gregge", cioè tutti la pensano
alla stessa maniera, la situazione si fa difficile. Prima, il pensiero-gregge cantava
le lodi dello sviluppo e della globalizzazione, adesso canta quelle del rigore. Questo
passaggio unitario dalle due parti, senza considerare che alla base ci sono le economie
e le società reali, provoca le tensioni in oggetto.
D. - Può essere anche un
segnale di scollamento rispetto alla politica che ha agito senza tener conto delle
istanze della popolazione, quindi della quotidianità dei problemi reali? R. - C’è
un indicatore forte di questa frattura che, ripeto, è nei confronti della politica
in primo luogo, ma anche delle altri classi dirigenti: vicino alla "bolla" finanziaria,
è scoppiata la bolla delle attese sociali crescenti. Tutti speravamo di andare meglio
e anche le nostre classi dirigenti ci raccontavano che domani sarebbe stato meglio
di oggi e dopodomani meglio di domani. Non basta dire, quando si gira il ciclo, "è
finita la festa". Una classe dirigente ha l’onere di inventarsi un’apertura verso
il futuro, a costo di sbagliare.
D. - Insomma, il soggetto che manca in questo
momento è la speranza…
R. - E’ l’atteggiamento condiviso tra popolo e classe
dirigente, o meglio tra classe dirigente e popolo, che è un onere fondamentale, sempre.
Essere in sintonia al rialzo, non al ribasso, con i propri popoli. Quindi, si deve
inventare con realismo, e anche con rischio, dove si può andare insieme, suscitando
speranza e voglia di farcela. Se non c’è questo, e c’è solo la parte "rigore e finanza",
è chiaro che i Paesi reali vanno da un’altra parte, pericolosamente e suscitando anche
le ondate di populismo di oggi e forse di domani.
D. - E quale potrebbe essere
la ricetta per far incontrare nuovamente le classi dirigenti con la popolazione? R.
- Temo che non ci siano ricette finali, perché questa è una consapevolezza fondamentale
che devono assumersi tutte le classi dirigenti, senza passare sempre solo il "cerino"
alla politica perché le altre hanno lo stesso problema. Bisogna interrogarsi e guardarsi
allo specchio e sapere che una delle funzioni fondamentali delle classi dirigenti
è quella di interpretare il mondo come va, ma poi è quella di far proposte e quando
fai proposte e susciti speranze, è chiaro che una cosa la indovini e due le sbagli.
Quindi questo rischio c’è, come diceva Zagrebelsky, quando presentai il primo rapporto
sulla classe dirigente: c’è poca classe dirigente e molta classe gerente. Eravamo
immediatamente prima della crisi. Credo che questo sia un commento adeguato per la
situazione che viviamo.
D. - Una cosa positiva forse c’è: queste manifestazioni
danno comunque il senso di una società, quella europea, ancora vivace e capace di
reagire…
R. - Voglio sperare di sì, nel senso che è un problema di sentimenti.
Io ho fatto tante indagini: tendono a prevalere i sentimenti bassi, cioè paura, timore,
rabbia, indignazione, ma ci sono anche, contemporaneamente, sentimenti di speranza
e di futuro. Ecco perché la sintonia al rialzo è compito di tutte le classi dirigenti:
risvegliare, inseguire, sollecitare quella parte di sentimenti di ripartenza di cui
abbiamo bisogno quando un ciclo si chiude, un ciclo economico, politico persino geo-economico,
e se ne apre un altro. Lì si gioca la nuova classe dirigente che deve intuire il nuovo
e lanciare il cuore oltre l’ostacolo.