Ddl diffamazione, l'Europa preoccupata. Ruzzante: carcere no, sì a sanzioni più severe
Il ddl sulla diffamazione a mezzo stampa tornerà all'esame dell'Aula martedì prossimo.
Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama dopo il voto del parlamento
che ha reintrodotto la pena detentiva per questo tipo di reato. Il Pd ha ribadito
che il gruppo presenterà una questione di sospensiva, ritenendo che non vi siano più
le condizioni politiche per portare avanti il provvedimento. Di parere opposto il
Pdl che sta studiando nuove modifiche al testo. Intanto, il commissario per i diritti
umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, fa sapere di seguire con ''grande preoccupazione''
l'iter legislativo del ddl in questione e di ritenere che mantenere il carcere per
i giornalisti sarebbe un ''grave passo indietro'' per l'Italia e non solo. Quasi unanime
l’opinione che prevedere il carcere per un giornalista colpevole di diffamazione sarebbe
gravemente lesivo della libertà di stampa. Adriana Masotti ne ha parlato con
Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica
di Milano e alla Lumsa di Roma:
R. – Credo sia
una misura eccessiva. Credo debba essere cancellata, perché il giornalista deve essere
libero di esercitare la libertà di informazione e di critica, che quindi vuol dire
anche esprimere un’opinione. Detto questo, però, va detto anche che le persone lese
da informazioni diffamatorie devono ricevere un’adeguata riparazione. Credo sia eccessiva
la pena detentiva, ma che sia necessario predisporre un apparato sanzionatorio molto
robusto per evitare che la libertà di informazione diventi licenza di insulto e di
linciaggio mediatico.
D. – Molti sostengono che una soluzione potrebbe essere
stabilire regole più rigide per quanto riguarda la rettifica …
R. – Io non
sono d’accordo con chi dice che la rettifica debba essere esaustiva del risarcimento.
Ci sono dei casi nei quali la rettifica non basta a riparare il danno provocato. Se
passasse l’idea che basta una rettifica per risolvere il problema, io credo ci sarebbe
il rischio che molti giornalisti potrebbero utilizzare l’arma della rettifica per
modificare uno stato d’arte, cioè una opinione espressa, dopo aver danneggiato gravemente
il soggetto. Mi spiego: ci sono danni che non sono riparabili. Se una persona viene
diffamata su un giornale ed è in lizza per un incarico che viene assegnato il giorno
dopo, e per ragioni di opportunità l’incarico non viene più assegnato a questa persona,
se poi la rettifica arriva giorni dopo non ripara un bel nulla, perché questa persona
è stata comunque danneggiata.
D. – Dunque, il carcere è spropositato come pena,
la sola rettifica non basta: come si può risolvere questa questione?
R. – Robuste
sanzioni pecuniarie per i casi più gravi e quindi necessità che le diffamazioni davvero
gravi vengano punite in modo esemplare, e sanzioni disciplinari. Io non ho difficoltà
a dire che l’Ordine dei giornalisti potrebbe riacquistare molta della sua autorevolezza
se riuscisse a comminare sanzioni fino alla radiazione, ma anche semplicemente la
sospensione per alcuni mesi – che mi sembra più equilibrata e ragionevole come sanzione
– per i casi riguardanti giornalisti che dovessero diffamare pesantemente dei cittadini.