Colombia: processo di pace Governo-Farc il 19 novembre
Si aprirà lunedì 19 novembre (e non giovedì 15 come previsto in precedenza) il dialogo
per la pace nella capitale cubana a L'Avana, tra il governo del Presidente colombiano
Santos e le Farc. I garanti sono Cuba e la Norvegia mentre i Paesi testimoni sono
Cile e Venezuela. Commentando la ripresa del negoziato, l'arcivescovo di Bogotá, Rubén
Salazar Gomez, che riceverà la berretta cardinalizia nel prossimo Concistoro, intervistato
dal giornale colombiano El Tiempo ha detto che “il processo di pace è un processo
necessario. In Colombia è molto difficile conseguire una vittoria militare, non perché
il nostro esercito non sia sufficientemente preparato, ma per le condizioni geografiche
e per gli stessi guerriglieri, che sono diventati un gruppo terroristico”. Oltre che
presidente della Conferenza episcopale, mons. Salazar Gomez è stato anche presidente
della Commissione per la Riconciliazione, quindi alla domanda se le Farc (Forze Armate
Rivoluzionarie Colombiane) siano state portate al dialogo anche dai colpi inferti
dall’esercito, risponde: “Indubbiamente. Questo è stato un fattore decisivo. Ma ancora
c'è la loro presenza. Quando parlo con i vescovi delle zone periferiche, come Orinoquia,
Nariño, Putumayo, mi confermano la forte presenza dei guerriglieri. Non si può continuare
sempre ad ucciderci, pensando solo a distruggerci. Tutto ciò - riferisce l'agenzia
Fides che riprende alcuni stralci dell’intervista al prossimo porporato - è costato
al Paese troppe vittime, troppe lacrime, troppi dolori. Fa orrore che la Colombia
abbia cinque milioni di sfollati!” L’arcivescovo di Bogotà aggiunge: “il problema
principale dei nostri guerriglieri è che hanno perso il senso della realtà. Vivono
in un altro mondo. Vivono ancora negli anni '60, quando Che Guevara e Fidel erano
guerriglieri e c'era un contesto politico mondiale completamente diverso. Forse vivere
nella giungla ha impedito loro di sentire le notizie o di comprendere il loro significato”.
Riguardo al diffuso fenomeno della corruzione, il prossimo cardinale la definisce
“il cancro che sta mangiando il Paese, di dimensioni senza precedenti” e ritiene che
la crisi della giustizia dipenda dal fatto che “non è realmente giustizia, perché
è lenta, non arriva o arriva distorta. Non ferma il crimine e non riabilita il criminale”.
(R.P.)