L'impegno della Chiesa per l'evangelizzazione della Corea del Nord
"Se non c'è patria, non esisto". E' la frase impressa nel cippo marmoreo sul confine
tra le due Coree che accoglie i turisti stranieri, che vengono da ogni angolo del
mondo, per toccare con mano il dramma di un popolo diviso. Per i coreani è una ferita
aperta che parla di morte e di disperazione. Parliamo di "Dmz", un'area demilitarizzata
di 900 chilometri quadrati che divide il Sud e il Nord della Corea. La riunificazione
è una delle missioni più importanti della Chiesa locale, impegnata in prima linea
in un programma di aiuti, grazie ad una Commissione speciale per la riconciliazione.
Il nostro inviato Davide Dionisi ne ha parlato con padre Timoteo Lee-Eun-Hyung,
membro della Commissione nella diocesi più vicina a "Dmz":
R. - (Parole
in sudcoreano) La nostra Commissione ha diversi obiettivi, tra i quali il più importante
è quello dell’evangelizzazione della Corea del Nord, dal momento che lì non c’è libertà
di religione. Innanzitutto, però, prima cerchiamo di trovare un modo per tentare di
scambiare almeno le notizie tra quello che avviene in Corea del Sud e quello che avviene
in Corea del Nord, anche per condividere l’affetto che proviamo. Un’altra cosa che
facciamo è quella di assistere la gente che scappa dalla Corea del Nord e giunge qui
in condizioni terribili. Aiutiamo questa gente a stabilirsi qui, nella Corea del Sud.
D. - Cosa è stato fatto negli ultimi anni e quali sono i progetti in cantiere?
R.
- (Parole in sudcoreano) Un progetto molto importante - e che continuerà per sempre
- è quello di portare avanti la preghiera comune: “Preghiamo insieme”. E’ questa la
cosa più importante. Abbiamo, per esempio, alcune Chiese vicino alla zona "Dmz" (la
zona demilitarizzata), in cui ogni mercoledì ci riuniamo per pregare per la gente
e per la Corea del Nord.
D. - Che cosa si prova a operare come Chiesa a pochi
passi da "Dmz"?
R. - (Parole in sudcoreano) Mi sta molto a cuore l’evangelizzazione
della Corea del Nord, visto che siamo molto vicini al confine. La possibilità di poter
svolgere quest’opera mi ha sempre fatto molto piacere. Stare vicino al confine non
significa avere limiti particolari nell’attività pastorale, anzi io mi sento molto
più vicino all’unificazione. E poi pensare di essere così vicino, rafforza la mia
vocazione di Dio. Certamente l’unificazione, l’evangelizzazione della Corea del Nord
sono le cose più importanti per noi cattolici.