Più Stato e coesione sociale contro la camorra: l'appello di don Maurizio Patriciello
Vasta eco ha avuto l’intervento di venerdì dell’arcivescovo di Napoli il cardinale
Crescenzio Sepe in occasione della fiaccolata cittadina, per le vittime innocenti
di camorra. Nessuna indulgenza per chi rimane nel tunnel della violenza, ha detto
il porporato, anche a costo di negargli i funerali in chiesa. E poi l’appello alla
conversione e la riaffermazione della speranza in una società giusta. Parole condivise
da chi è in prima linea e chiede più Stato e più collaborazione: è il caso di don
Maurizio Patriciello parroco di Caivano. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:
R.
– L’uomo ha il dono della ragione: è libero di diventare immenso come Dio e anche
di scendere negli abissi più profondi. Queste persone hanno imboccato una strada che
è proprio il contrario esatto del Vangelo: hanno rinnegato la dignità della persona
umana. Siamo arrivati all’assurdo.
D. – Lei se la sentirebbe di ribadire questo
“nessuna indulgenza” pronuciata dal cardinale Sepe, nei confronti dei camorristi,
anche da morti?
R. – Certo. Certo, anche perché questo è un linguaggio che
capiscono. Nel momento in cui arrivano, facendo applausi, facendo volare palloncini
bianchi, non fanno chiarezza. La Chiesa fa bene a essere veramente ferma, per le persone
più semplici. Poi, affidiamo tutto quanto alla misericordia di Dio, anche queste persone
che trascinano con loro le famiglie e un popolo intero. Ma noi non possiamo rimanere
in ostaggio.
D. – Chiedere “deponete le armi, scegliete la vita” come ha fatto
il cardinale Sepe, serve?
R. – Serve fino ad un certo punto. Finché questa
gente sente che lo Stato è così distante, non sarà recuperata mai.
D. – Serve
questa denuncia della Chiesa, per lo meno per far prendere più coscienza di quello
che accade?
R. – Sì, vanno prendendo coscienza, ma il problema sta un po’ più
a monte, secondo me. Un giovane di 14-15 anni che comincia a guadagnare 200 o 300
euro al giorno, lei pensa si potrà mai recuperare? Mandarlo a lavorare in fabbrica
per 30 o 40 euro al giorno? E’ qua che bisogna arrivare. Vorrei dire a coloro che
ci governano: “Signori, ma se c’è gente che non guadagna un soldo, questa gente dovrebbe
morire di fame nel giro di 15 giorni. Se queste persone non muoiono, vuol dire che
da qualche parte questi soldi arrivano”. E’ il serpente che si morde la coda. Finché,
non si spezzerà questa serpe, le altre cose resteranno invariate; anche il grido del
cardinale resta, come grido della Chiesa. E’ suo dovere, infatti, alzare la voce,
denunciare ed essere voce della gente che non ha voce. Nel concreto, però, stasera
verrà gente qui da me a dire: “Padre, aiutami, io non ho da mangiare”.
D.
– Il cardinale Sepe ha detto: “Noi rimaniamo nella determinazione che il cambiamento
è possibile”. Lei stesso, spesso e volentieri, ripete di non perdere la fiducia...
R.
– Sperare non è facoltativo, sperare è un obbligo. La verità, però, è questa: tanta
gente muore di fame. C’è gente che porta le bollette da pagare in parrocchia: i servizi
sociali non esistono... Attorno alla droga circolano milioni. Non sto giustificando
la cosa: attenzione. Ma io capisco quando una persona, a un certo punto, cede, e tutto
questo va a rendere fecondo quel terreno maledetto, quel terreno paludoso, nel quale
la mala pianta della camorra affonda le sue radici.
D. – Che cosa si può fare
don Maurizio?
R. – Si debbono mettere insieme lo Stato centrale e lo Stato
periferico. Pensare che questa mala pianta, questa maledizione, questa radice perversa
si possa sconfiggere a livello locale, è una pia illusione. Si debbono mettere insieme
lo Stato centrale e lo Stato periferico, le amministrazioni locali, con le associazioni
di volontariato, con la Chiesa, con la scuola, senza guardarsi in cagnesco, senza
interessi personali.