2012-11-09 08:29:25

Stati Uniti: il presidente Obama si prepara alle nuove sfide economiche


Negli Stati Uniti il presidente Obama è già alle prese con le spinose questioni economiche. Si lavora ad una stretta della spesa pubblica e ad un aumento delle tasse per evitare l’incubo recessione che inevitabilmente avrebbe ripercussioni su tutta l’economia mondiale. Intanto lo staff del presidente ha diffuso un video di ringraziamento nel quale Obama si commuove più volte. Il servizio di Francesca Baronio: RealAudioMP3

E’ iniziato il countdown per l’Obama Bis. Queste le date da tenere a mente: 3 Gennaio 2013 con l’insediamento del nuovo Congresso. 20 Gennaio 2013, il Giuramento del neorieletto presidente sulla scalinata ovest del Campidoglio a Washington. Infine, il giorno seguente, l’Inauguration day, ossia il via al nuovo mandato presidenziale. Al via anche le speculazioni sulla nuova squadra dell’amministrazione. Sicure due defezioni di primo piano. Hillary Clinton, cede l’ambita poltrona di segretario di Stato, ufficialmente per stanchezza, ma in molti dicono, per preparare la corsa alla casa Bianca del 2016. Si contendono il suo posto due cavalli di razza come Susan Rice, ambasciatore Americano all’Onu, e John Kerry capo della Commissione esteri al Senato, nonché ex sfidante di Bush nel 2004. Lascia anche Tim Geithener, il segretario del Tesoro, che ha gestito la più difficile crisi finanziaria dal dopoguerra ad oggi. Al suo posto forse il capo dello staff della Casa Bianca Jack Lew. Possibile anche un cambio per Leon Panetta, potente capo del Pentagono, che gode di stima bipartisan, e che per questo ritarderebbe il suo congedo di qualche mese per facilitare i difficili rapporti con il Congresso in vista del Fiscal Cliff.

A preoccupare è dunque il cosiddetto “Fiscal cliff” ovvero la doppia scadenza di incentivi fiscali introdotti da Bush e la necessità di trovare un accordo sul tetto al debito americano. Di queste emergenze Salvatore Sabatino ha parlato con Angelo Baglioni, docente di economia internazionale presso l’Università Cattolica di Milano: RealAudioMP3

R. - Il problema di fondo, che dovrà affrontare Obama, da subito, e che lo accompagnerà per tutto il quadriennio, sarà quello della finanza pubblica. Si parla spesso dei Paesi europei sotto questo profilo, ma è chiaro che anche gli Stati Uniti non sono messi affatto bene: hanno un debito sul Pil che raggiunge ormai il 100 per cento; hanno un deficit sul Pil attorno al 10 per cento. Quindi la prima cosa da fare è mettere ordine nella finanza pubblica.

D. - Sono in molti ad immaginare una "cura di austerità" che provocherà negli Stati Uniti, nel breve termine, una nuova recessione e una svalutazione del dollaro. Un piano che è stato, forse, tralasciato proprio per dare spazio - forse troppo - alla campagna elettorale, non crede?

R. - Su questo fronte c’è il problema del "Fiscal Cliff, quell’accordo che deve essere raggiunto al Congresso per consentire l’emissione di ulteriore debito pubblico. Questo accordo deve essere raggiunto entro la fine dell'anno, altrimenti partono i tagli automatici alla spesa e gli aumenti automatici delle tasse. Questo avrebbe un effetto recessivo immediato. Al di là del problema del "Fiscal Cliff", è chiaro che occorre comunque attuare delle misure di contenimento della spesa che siano mirate: riformando, ad esempio, il sistema di assistenza sanitaria agli anziani; riformando il sistema pensionistico; aumentando le imposte sui ceti più ricchi; intervenendo, quindi, con alcune misure ad hoc ed evitando così misure su larga scala, che avrebbero effettivamente effetti recessivi.

D. - Durante la prima amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno volto lo sguardo più verso Oriente che non verso l’Europa. Ora che la Cina, con il suo 18.mo Congresso del Partito Popolare, sta configurando la nuova leadership per i prossimi dieci anni, come possiamo immaginare i rapporti tra le due maggiori economie mondiali?

R. - I rapporti sono stati molto tesi per parecchio tempo. Recentemente mi sembra che siano un po’ meno tesi, anche per una maggiore disponibilità del governo cinese a lasciar rivalutare il cambio della moneta: lasciare cioè che il cambio della moneta sia determinato più da forze di mercato. Questa è stata sempre la materia del contendere fra Stati Uniti e Cina.

D. - Anche perché bisogna ricordare e sottolineare che ci sono rapporti molto stretti tra Washington e Pechino: non a caso la Cina ha acquistato una quota molto importante del debito americano…

R. - Sì, naturalmente la Cina è molto esposta nei confronti degli Stati Uniti e quindi ha tutto l’interesse che l’economia statunitense riprenda e questo anche grazie ad una stabilizzazione dei rapporti di cambio. Una crisi fiscale degli Stati Uniti, dovuta anche alla poca crescita, ovviamente si ripercuoterebbe sui creditori degli Stati Uniti e quindi, in primo luogo, sulla Cina.

D. - L’Europa, invece, continuerà per Washington ad essere un attore di secondo piano dal punto di vista economico?

R. - L’Europa è comunque, nel suo complesso, un continente di grande importanza: il problema per l’Europa - come noto - è quello di superare le divisioni interne e quindi di avviare un processo di integrazione - e questo almeno tra i Paesi dell’area Euro - più forte di quello che è avvenuto finora, accompagnando l’integrazione fiscale a quella monetaria. In questo modo si potrà avviare un cammino in cui si scongiuri definitivamente lo scenario del break-up, dello spaccamento dell’unione monetaria. Questo è il problema fondamentale e su questo gli americani hanno sempre insistito - anche questo governo - con l’Europa, perché faccia di tutto per scongiurare questo scenario.

E l’economia ha dominato ieri anche il 18.mo Congresso del Partito Popolare cinese che si è aperto a Pechino con il compito di rinnovare la classe dirigente e preparare le linee guida del Paese per i prossimi 10 anni. Al centro dell’intervento del presidente Hu Jintao lo sviluppo economico come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Francesco Sisci corrispondente a Pechino de Il Sole 24 ore: RealAudioMP3

R. – Questo è stato un discorso, in realtà, di chiusura dei dieci anni. Per il discorso di apertura, nei prossimi dieci anni, dovremo aspettare l’intervento del prossimo segretario generale, che sarà eletto alla fine del Congresso, e sarà Xi Jinping. L’apertura fatta da Hu Jintao, in realtà, ha come centro la questione dello sviluppo. Lo sviluppo economico è il punto centrale dell’economia e della politica cinese per i prossimi dieci anni e la Cina si ripromette che, da qui al 2022, il prodotto interno lordo nazionale sarà raddoppiato.

D. – Hu Jintao ha puntato molto l’accento sulla corruzione e ha invitato all’autodisciplina. Dichiarazioni che sono arrivate dopo lo scandalo di Bo Xilai, uomo di punta del partito, ma anche dopo alcuni articoli americani riguardanti i patrimoni nascosti della dirigenza cinese. Un messaggio rivolto a chi?

R. – Non è un messaggio particolare contro una persona specifica, ma credo sia un messaggio generale contro un’abitudine, in qualche modo, diffusa e pervasiva nel Paese: la questione della corruzione o, ancora peggio, dell’uso privato di poteri, dell’uso inappropriato del potere, dell’uso non regolato del potere. Sono tutte questioni aperte per il partito comunista. Negli ultimi venti anni, il divario sociale è estremamente aumentato, allora tutti erano poveri allo stesso modo, oggi c’è gente molto ricca e gente che magari sta meglio, ma in condizioni molto diverse di quelle del suo compagno di classe di tanto tempo fa.

D. – “La Cina non copierà mai un sistema politico occidentale”: ha detto Hu Jintao, ma questo nuovo sistema cinese quale sarebbe?

R. – Anche questa è una dichiarazione di quelle che vanno lette con grande attenzione. “La Cina non diventerà mai un Paese occidentale”: questa è un’ovvietà però dietro questa ovvietà che cosa si nasconde? Si nasconde una progressione, una trasformazione in corso. E’ come dire che la Cina ha bisogno di apprendere, di imparare dalle esperienze internazionali. Dobbiamo poi vedere cosa succederà di concreto, in pratica.

D. – Ci sono stati anche riferimenti alla politica estera, in particolar modo al contenzioso con il Giappone e poi anche a Taiwan. Anche qui non ci sono grossi elementi di novità?

R. – No, però, in particolare sulla questione di Taiwan bisogna dire che ci sono stati toni rassicuranti e Hu Jintao ha sottolineato i progressi raggiunti e il fatto che ormai la distanza con Taiwan - che era poi primo punto di tensione, sia per la Cina sia per la regione - sia ormai veramente sotto controllo. La prospettiva di una riunificazione con Taiwan non è più così distante come poteva esserlo anche semplicemente cinque o dieci anni fa.

D. – Cosa attendersi, dunque, da questo Congresso?

R. – La cosa più importante che dovrebbe uscire da questo Congresso è una qualche linea un po’ più chiara sulle riforme politiche. Dobbiamo anche pensare che le riforme economiche che hanno stravolto e cambiato radicalmente la Cina, negli ultimi 30 anni, sono cominciate sottovoce. In realtà, le riforme hanno poi trasformato la Cina e il mondo, perché la crescita della Cina ha trainato la crescita del resto dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Pur con tutte le prudenze del caso, potremmo veramente pensare che se un annuncio di riforma politica avverrà alla fine di questo Congresso, questo annuncio potrebbe effettivamente aprire la porta a cambiamenti molto importanti.

















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