Stati Uniti: il presidente Obama si prepara alle nuove sfide economiche
Negli Stati Uniti il presidente Obama è già alle prese con le spinose questioni economiche.
Si lavora ad una stretta della spesa pubblica e ad un aumento delle tasse per evitare
l’incubo recessione che inevitabilmente avrebbe ripercussioni su tutta l’economia
mondiale. Intanto lo staff del presidente ha diffuso un video di ringraziamento nel
quale Obama si commuove più volte. Il servizio di Francesca Baronio:
E’ iniziato
il countdown per l’Obama Bis. Queste le date da tenere a mente: 3 Gennaio 2013 con
l’insediamento del nuovo Congresso. 20 Gennaio 2013, il Giuramento del neorieletto
presidente sulla scalinata ovest del Campidoglio a Washington. Infine, il giorno seguente,
l’Inauguration day, ossia il via al nuovo mandato presidenziale. Al via anche le speculazioni
sulla nuova squadra dell’amministrazione. Sicure due defezioni di primo piano. Hillary
Clinton, cede l’ambita poltrona di segretario di Stato, ufficialmente per stanchezza,
ma in molti dicono, per preparare la corsa alla casa Bianca del 2016. Si contendono
il suo posto due cavalli di razza come Susan Rice, ambasciatore Americano all’Onu,
e John Kerry capo della Commissione esteri al Senato, nonché ex sfidante di Bush nel
2004. Lascia anche Tim Geithener, il segretario del Tesoro, che ha gestito la più
difficile crisi finanziaria dal dopoguerra ad oggi. Al suo posto forse il capo dello
staff della Casa Bianca Jack Lew. Possibile anche un cambio per Leon Panetta, potente
capo del Pentagono, che gode di stima bipartisan, e che per questo ritarderebbe il
suo congedo di qualche mese per facilitare i difficili rapporti con il Congresso in
vista del Fiscal Cliff.
A preoccupare è dunque il cosiddetto “Fiscal cliff”
ovvero la doppia scadenza di incentivi fiscali introdotti da Bush e la necessità di
trovare un accordo sul tetto al debito americano. Di queste emergenze Salvatore
Sabatino ha parlato con Angelo Baglioni, docente di economia internazionale
presso l’Università Cattolica di Milano:
R. - Il problema
di fondo, che dovrà affrontare Obama, da subito, e che lo accompagnerà per tutto il
quadriennio, sarà quello della finanza pubblica. Si parla spesso dei Paesi europei
sotto questo profilo, ma è chiaro che anche gli Stati Uniti non sono messi affatto
bene: hanno un debito sul Pil che raggiunge ormai il 100 per cento; hanno un deficit
sul Pil attorno al 10 per cento. Quindi la prima cosa da fare è mettere ordine nella
finanza pubblica.
D. - Sono in molti ad immaginare una "cura di austerità"
che provocherà negli Stati Uniti, nel breve termine, una nuova recessione e una svalutazione
del dollaro. Un piano che è stato, forse, tralasciato proprio per dare spazio - forse
troppo - alla campagna elettorale, non crede?
R. - Su questo fronte c’è il
problema del "Fiscal Cliff, quell’accordo che deve essere raggiunto al Congresso per
consentire l’emissione di ulteriore debito pubblico. Questo accordo deve essere raggiunto
entro la fine dell'anno, altrimenti partono i tagli automatici alla spesa e gli aumenti
automatici delle tasse. Questo avrebbe un effetto recessivo immediato. Al di là del
problema del "Fiscal Cliff", è chiaro che occorre comunque attuare delle misure di
contenimento della spesa che siano mirate: riformando, ad esempio, il sistema di assistenza
sanitaria agli anziani; riformando il sistema pensionistico; aumentando le imposte
sui ceti più ricchi; intervenendo, quindi, con alcune misure ad hoc ed evitando così
misure su larga scala, che avrebbero effettivamente effetti recessivi.
D.
- Durante la prima amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno volto lo sguardo più
verso Oriente che non verso l’Europa. Ora che la Cina, con il suo 18.mo Congresso
del Partito Popolare, sta configurando la nuova leadership per i prossimi dieci anni,
come possiamo immaginare i rapporti tra le due maggiori economie mondiali?
R.
- I rapporti sono stati molto tesi per parecchio tempo. Recentemente mi sembra che
siano un po’ meno tesi, anche per una maggiore disponibilità del governo cinese a
lasciar rivalutare il cambio della moneta: lasciare cioè che il cambio della moneta
sia determinato più da forze di mercato. Questa è stata sempre la materia del contendere
fra Stati Uniti e Cina.
D. - Anche perché bisogna ricordare e sottolineare
che ci sono rapporti molto stretti tra Washington e Pechino: non a caso la Cina ha
acquistato una quota molto importante del debito americano…
R. - Sì, naturalmente
la Cina è molto esposta nei confronti degli Stati Uniti e quindi ha tutto l’interesse
che l’economia statunitense riprenda e questo anche grazie ad una stabilizzazione
dei rapporti di cambio. Una crisi fiscale degli Stati Uniti, dovuta anche alla poca
crescita, ovviamente si ripercuoterebbe sui creditori degli Stati Uniti e quindi,
in primo luogo, sulla Cina.
D. - L’Europa, invece, continuerà per Washington
ad essere un attore di secondo piano dal punto di vista economico?
R. - L’Europa
è comunque, nel suo complesso, un continente di grande importanza: il problema per
l’Europa - come noto - è quello di superare le divisioni interne e quindi di avviare
un processo di integrazione - e questo almeno tra i Paesi dell’area Euro - più forte
di quello che è avvenuto finora, accompagnando l’integrazione fiscale a quella monetaria.
In questo modo si potrà avviare un cammino in cui si scongiuri definitivamente lo
scenario del break-up, dello spaccamento dell’unione monetaria. Questo è il problema
fondamentale e su questo gli americani hanno sempre insistito - anche questo governo
- con l’Europa, perché faccia di tutto per scongiurare questo scenario.
E l’economia
ha dominato ieri anche il 18.mo Congresso del Partito Popolare cinese che si è aperto
a Pechino con il compito di rinnovare la classe dirigente e preparare le linee guida
del Paese per i prossimi 10 anni. Al centro dell’intervento del presidente Hu Jintao
lo sviluppo economico come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Francesco
Sisci corrispondente a Pechino de Il Sole 24 ore:
R. – Questo
è stato un discorso, in realtà, di chiusura dei dieci anni. Per il discorso di apertura,
nei prossimi dieci anni, dovremo aspettare l’intervento del prossimo segretario generale,
che sarà eletto alla fine del Congresso, e sarà Xi Jinping. L’apertura fatta da Hu
Jintao, in realtà, ha come centro la questione dello sviluppo. Lo sviluppo economico
è il punto centrale dell’economia e della politica cinese per i prossimi dieci anni
e la Cina si ripromette che, da qui al 2022, il prodotto interno lordo nazionale sarà
raddoppiato.
D. – Hu Jintao ha puntato molto l’accento sulla corruzione e ha
invitato all’autodisciplina. Dichiarazioni che sono arrivate dopo lo scandalo di Bo
Xilai, uomo di punta del partito, ma anche dopo alcuni articoli americani riguardanti
i patrimoni nascosti della dirigenza cinese. Un messaggio rivolto a chi?
R.
– Non è un messaggio particolare contro una persona specifica, ma credo sia un messaggio
generale contro un’abitudine, in qualche modo, diffusa e pervasiva nel Paese: la questione
della corruzione o, ancora peggio, dell’uso privato di poteri, dell’uso inappropriato
del potere, dell’uso non regolato del potere. Sono tutte questioni aperte per il partito
comunista. Negli ultimi venti anni, il divario sociale è estremamente aumentato, allora
tutti erano poveri allo stesso modo, oggi c’è gente molto ricca e gente che magari
sta meglio, ma in condizioni molto diverse di quelle del suo compagno di classe di
tanto tempo fa.
D. – “La Cina non copierà mai un sistema politico occidentale”:
ha detto Hu Jintao, ma questo nuovo sistema cinese quale sarebbe?
R. – Anche
questa è una dichiarazione di quelle che vanno lette con grande attenzione. “La Cina
non diventerà mai un Paese occidentale”: questa è un’ovvietà però dietro questa ovvietà
che cosa si nasconde? Si nasconde una progressione, una trasformazione in corso. E’
come dire che la Cina ha bisogno di apprendere, di imparare dalle esperienze internazionali.
Dobbiamo poi vedere cosa succederà di concreto, in pratica.
D. – Ci sono stati
anche riferimenti alla politica estera, in particolar modo al contenzioso con il Giappone
e poi anche a Taiwan. Anche qui non ci sono grossi elementi di novità?
R. –
No, però, in particolare sulla questione di Taiwan bisogna dire che ci sono stati
toni rassicuranti e Hu Jintao ha sottolineato i progressi raggiunti e il fatto che
ormai la distanza con Taiwan - che era poi primo punto di tensione, sia per la Cina
sia per la regione - sia ormai veramente sotto controllo. La prospettiva di una riunificazione
con Taiwan non è più così distante come poteva esserlo anche semplicemente cinque
o dieci anni fa.
D. – Cosa attendersi, dunque, da questo Congresso?
R.
– La cosa più importante che dovrebbe uscire da questo Congresso è una qualche linea
un po’ più chiara sulle riforme politiche. Dobbiamo anche pensare che le riforme economiche
che hanno stravolto e cambiato radicalmente la Cina, negli ultimi 30 anni, sono cominciate
sottovoce. In realtà, le riforme hanno poi trasformato la Cina e il mondo, perché
la crescita della Cina ha trainato la crescita del resto dell’Asia, dell’Africa e
dell’America Latina. Pur con tutte le prudenze del caso, potremmo veramente pensare
che se un annuncio di riforma politica avverrà alla fine di questo Congresso, questo
annuncio potrebbe effettivamente aprire la porta a cambiamenti molto importanti.