Rapporto di Acs sulla libertà religiosa. Mons. Tomasi: prevenire ogni forma di violenza
E’ stato presentato ieri al palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra il "Rapporto 2012
sulla libertà religiosa nel mondo" realizzato da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Alla
presentazione è seguito un dibattito, con l’intervento, tra gli altri, di mons.
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
Onu di Ginevra. Davide Maggiore lo ha intervistato:
R. – La libertà
di religione sta diventando significativa nel dibattito contemporaneo. Si incomincia
a vedere l’importanza di questo diritto. C’è un impegno rinnovato da parte delle strutture
internazionali per continuare ad approfondire il tema della libertà religiosa, tanto
che – nella prossima sessione di marzo del Consiglio dei diritti umani – si tornerà
di nuovo su questo argomento in maniera formale. L’evoluzione in corso della cultura
forza un po’ a porsi la domanda sul perché vi sia ancora tanta intolleranza in molti
Paesi. Si spera che la riflessione contribuisca a portare soluzioni pratiche che prevengano
forme di violenza contro le minoranze religiose in genere, tenendo conto che l’evidenza
oggi mostra che il gruppo in cui i diritti umani in campo religioso sono maggiormente
violati è il gruppo cristiano.
D. – Lei ha accennato a passi formali che verranno
intrapresi nelle future sessioni delle Nazioni Unite...
R. – Un’idea, una proposta
concreta che circola è quella di avere – nel contesto delle Nazioni Unite – una piccola
unità organizzativa che faccia un monitoraggio delle situazioni di emergenza dove
è in ballo la libertà religiosa e che quindi, prima che scoppi la violenza contro
persone o gruppi a causa della loro fede, la comunità internazionale possa giocare
un ruolo di mediazione e di sostegno che garantisca la convivenza.
D. – Circolano
già delle idee su come potrebbe essere organizzata questa unità a cui lei ha appena
fatto cenno?
R. – Siamo ancora in una fase di esplorazione e di proposta. Potrebbe
essere un’unità all’interno dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite
per i diritti umani, oppure in qualche altra struttura legata al sistema dell’Onu.
Si spera che dopo questi dibattiti – dopo varie risoluzioni che negli ultimi anni
sono state passate sulla libertà religiosa e sulla prevenzione dell’intolleranza religiosa
al Consiglio dei diritti umani e all’Assemblea generale – si possa magari fare un
passo più specifico di utilità pratica. Siamo in una fase di gestazione, direi, di
questa idea: speriamo che possa andare avanti e maturare.
D. – Al dibattito
e alla presentazione del Rapporto, sono stati presenti anche esponenti di Paesi musulmani.
Qual è stato il loro contributo alla discussione?
R. – C’è stato uno scambio
di idee molto sereno e molto chiaro, soprattutto nello sforzo di capire bene, esattamente,
le posizioni, senza equivoci e senza fraintendimenti. In particolare, l’Egitto ha
fatto accenno a un recente documento dell’Università al-Azhar del Cairo, in cui per
la prima volta viene difeso il diritto di libertà e di pratica religiosa non solo
per le religioni abramitiche monoteiste, ma per tutte le forme di credenza. E questo
mi pare un segno de fatto che, portando avanti con pazienza un dialogo interreligioso,
si possa arrivare a convergenze concrete che prevengano confronti violenti e mancanza
di comprensione reciproca.