Il 30.mo Torino Film Festival. Intervista con il direttore Amelio
E’ stato presentato il 30.mo Torino Film Festival, l’ultima edizione diretta dal regista
Gianni Amelio. Si aprirà il 23 novembre con l’esordio alla regia di Dustin Hoffman,
che dirige “Quartet”, una commedia ambientata in una casa di riposo per cantanti lirici.
Fino al 1° dicembre tantissimi titoli in arrivo dai Cinque continenti, molte opere
prime o seconde, film classici e sperimentali nelle diverse sezioni, un omaggio a
Joseph Losey e il premio Gran Torino conferito ai registi Ken Loach e Ettore Scola.
Il servizio di Luca Pellegrini:
Il Torino Film
Festival festeggia i suoi trent’anni e da quattro è diretto dal regista italiano Gianni
Amelio. Si conferma come una manifestazione originale, che sa amministrare assai
bene i pochi fondi a disposizione e le moltissime idee con le quali, ogni anno, rinnova
la sua curiosa ricerca di opere nelle cinematografie dei cinque continenti. Per questo
Amelio, che finisce il suo mandato, si dice orgoglioso del lavoro svolto:
R.
- E’ vero che l’ho vissuta con orgoglio questa esperienza, perché ho dato il massimo
a livello di impegno. Qualcuno, magari, può pensare che un regista prestato a un Festival
prenda il lavoro alla leggera: io mi sono speso e mi spendo come se davvero le sorti
del mondo dipendessero dal mio lavoro e non le sorti del Festival di Torino.
D.
- Direttore, dei 223 titoli selezionati, 75 sono opere prime e seconde, delle quali
sedici entrano in concorso. Una caratteristica del Festival di cui va fiero…
R.
– Assolutamente. E’ nato per essere il Festival del cinema giovane – si chiamava così
i primi anni – ed è nato per valorizzare chi ancora non aveva la forza di essere valorizzato.
Il Festival che consacra il già consacrato è un Festival che ha meno interesse – per
quanto mi riguarda – di quanto non ne abbia un altro che, invece, va alla ricerca
del talento e cerca di promuoverlo.
D. - C’è un tema ricorrente che ha trovato
quest’anno nel film selezionati?
R. – E’ uno sguardo molto duro e molto appassionato
al presente e non so se con questa espressione sono generico oppure colgo davvero
il cuore del Festival di quest’anno, ma anche degli anni scorsi. Sono film che raccontano
in presa diretta quello che viviamo noi oggi.
Il vicedirettore del Festival,
Emanuela Martini, ha curato con passione e rigore storico la bella retrospettiva
dedicata al regista americano Joseph Losey, scappato in Inghilterra nel periodo della
cosiddetta “caccia alle streghe” scatenata ai tempi del maccartismo. Verranno proiettati
tutti i suoi 37 lungometraggi e molti cortometraggi, ma rimane un autore sconosciuto
ai più:
"Sconosciuto? Dipende – credo – dall’età delle persone. Una volta
Losey – negli anni Settanta – veniva considerato uno dei grandi autori europei degli
anni Sessanta e Settanta ed era paragonato a Bergman e a Antonioni. E’ morto nel 1985
e si è perso, se ne è persa la memoria. Chissà perché? Certo, ha avuto degli alti
e bassi, ma tutti i grandi autori hanno avuto degli alti e bassi, a partire da Orson
Wells. Per cui, io spero veramente che i giovani lo afferrino, perché ci sono delle
atmosfere e delle storie - nel 'Servo', nell’'Incidente', ma anche in thriller precedenti
o successivi come 'Caccia Sadica' – che possono essere afferrate dai giovani, così
come i problemi sull’identità, sulla storia, sulla crisi dell’individuo che ai giovani
possono interessare".