Violenze in Siria: solo ieri oltre 200 morti. A Doha opposizione al lavoro per l’unità
Ancora altissimo il livello delle violenze in Siria. Anche ieri attacchi e contrattacchi
tra esercito e miliziani. Teatro degli scontri, Damasco e altre città con oltre 200
vittime. Intanto le varie anime dell’opposizione al presidente Assad sono riunite
a Doha, in Qatar, per cercare di compattarsi. Il servizio è di Marina Calculli:
Un bilancio
di oltre 200 morti ha segnato ieri una delle giornate più violente dall’inizio della
guerra civile. Un attentato kamikaze nella provincia di Hama ha provocato la morte
di una cinquantina di soldati. L’atto è stato rivendicato dal fronte al-Nousra, un
gruppo islamista radicale basato nel nord. A Damasco un’altra esplosione ha ucciso
11 persone nel quartiere residenziale di Mazzè. L’esercito dal canto suo continua
a bombardare alcuni sobborghi della capitale e la regione di Idlib, ormai controllata
dai ribelli. E inoltre nella zona del Golan al confine con Israele colpi d’arma da
fuoco hanno addirittura raggiunto un veicolo dell’esercito israeliano. Mentre la Siria
si appresta ad entrare nel suo secondo inverno di guerra civile, gli occhi del mondo
in questi giorni sono però concentrati su Doha, dove l’opposizione cerca di unificare
le sue diverse correnti. Il difficile obiettivo è quello di superare il Consiglio
Nazionale siriano, il primo organo politico formatosi oltre un anno fa che tuttavia
fatica ad trovare legittimità. La proposta più convincente per ora sembra quella di
uno storico oppositore del regime, Riad Seif: l’ipotesi è quella di formare una assemblea
che rappresenti le zone dichiarate “liberate” dalle forze rivoluzionarie.
E
intanto Israele guarda con preoccupazione all’evoluzione della crisi siriana, soprattutto
lo sconfinamento del conflitto nel Golan. Sull’atteggiamento di Israele, già preoccupato
per il nucleare iraniano, Giancarlo La Vella ha intervistato Antonio Ferrari,
analista ed esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera:
R. – E’ evidente
che la Siria non è slegata dal problema iraniano, anzi in qualche misura per Israele
ne è complementare. Se noi aggiungiamo, oltre al problema iraniano con il nucleare,
la crisi Siria con l’instabilità cronica, si può capire che la preoccupazione di Israele
sia giustificata. Dall’altra parte, poi, c’è il tentativo di Netanyahu e del governo
di destra, che guida lo Stato di Israele, di alimentare l’incubo di avere una situazione
precaria ai propri confini, con la necessità di pensare di ottenere un nuovo mandato:
Netanyahu tenta di amplificare, anche oltre misura, quelle che sono le minacce esterne
per Israele, per poter sperare di avere una riconferma.
D. – E’ una presa di
posizione, questa di Israele, dovuta anche al fatto che gli Stati Uniti in questo
momento sono impegnati sulla campagna elettorale, come pure su altri problemi, e si
stanno occupando poco della questione mediorientale...
R. – Io credo di sì.
Tutto è collegato: è chiaro che gli Stati Uniti, in questo momento, hanno altro a
cui pensare che al Medio Oriente: tutto è concentrato su chi sarà il nuovo presidente.
Quindi, Israele deve tener conto di questo e può anche darsi che queste decisioni
militar-politiche, prese da Netanyahu, siano proprio legate a queste incertezze.