Siria, sangue e morti. L'analista: cresce il grado di attenzione in Israele
In Siria ieri nuova giornata di violenze. Dopo i 200 morti di domenica, a Damasco
e ad Aleppo infuriano i combattimenti. Sono già diverse decine le vittime negli scontri
tra l'esercito siriano e milizie di ribelli. Dato alle fiamme anche un deposito della
Mezzaluna Rossa, mentre la diplomazia internazionale sembra accusare una situazione
di grave stallo. Intanto, Israele guarda con preoccupazione all’evoluzione della crisi
siriana, soprattutto dopo il recente sconfinamento di Damasco nel Golan. Sull’atteggiamento
di Israele, Giancarlo La Vella ha intervistato Antonio Ferrari, analista
ed esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera:
R. – E’ evidente
che la Siria non è slegata dal problema iraniano, anzi in qualche misura per Israele
ne è complementare. Se noi aggiungiamo, oltre al problema iraniano con il nucleare,
la crisi Siria con l’instabilità cronica, si può capire che la preoccupazione di Israele
sia giustificata. Dall’altra parte, poi, c’è il tentativo di Netanyahu e del governo
di destra, che guida lo Stato di Israele, di alimentare l’incubo di avere una situazione
precaria ai propri confini, con la necessità di pensare di ottenere un nuovo mandato:
Netanyahu tenta di amplificare, anche oltre misura, quelle che sono le minacce esterne
per Israele, per poter sperare di avere una riconferma.
D. – E’ una presa di
posizione, questa di Israele, dovuta anche al fatto che gli Stati Uniti in questo
momento sono impegnati sulla campagna elettorale, come pure su altri problemi, e si
stanno occupando poco della questione mediorientale...
R. – Io credo di sì.
Tutto è collegato: è chiaro che gli Stati Uniti, in questo momento, hanno altro a
cui pensare che al Medio Oriente: tutto è concentrato su chi sarà il nuovo presidente.
Quindi, Israele deve tener conto di questo e può anche darsi che queste decisioni
militar-politiche, prese da Netanyahu, siano proprio legate a queste incertezze.