Un anno fa la devastante alluvione di Genova. Il card. Bagnasco: dopo il fango, un'onda
di solidarietà
Ricorreva sabato scorso il primo anniversario della devastante alluvione che colpì
Genova provocando 6 vittime e ingenti danni materiali. Celebrando una Messa in suffragio
delle vittime - sabato pomeriggio - il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo del
capoluogo ligure e presidente della Cei, ha ricordato insieme al dolore anche "l’onda
della solidarietà" a sostegno delle persone colpite. Il porporato ha invitato tutti
a fare la propria parte nella ricostruzione e per la prevenzione. Ma ad un anno da
quei drammatici eventi cosa è stato fatto per mettere in sicurezza il territorio?
Marco Guerra lo ha chiesto a Giuliano Antonielli, del Consiglio nazionale
dei Geologi:
R. – Sono stati
fatti i primi interventi urgenti, ma nella realtà le cose non sono sostanzialmente
cambiate. Il problema di Genova, come della Liguria e di buona parte del territorio
italiano, rimane!
D. – Queste tragedie sono imputabili ai mutamenti climatici
o al dissesto idrogeologico creato dalle attività umane?
R. – Il territorio
in sé è fragile: l’alluvione colpisce La Spezia, la Via dell’Amore, colpisce
Genova… Ormai non si può più parlare di fatalità di evento climatico particolare.
Evidentemente le attività umane hanno contribuito al dissesto del territorio. In realtà
le colline e le montagne che franano e i fiumi che esondano non fanno nient’altro
che il loro mestiere: riportare un equilibrio in natura. Siamo noi che siamo intervenuti
e abbiamo alterato questo equilibrio. E’ evidente questo! Per esempio, nelle vecchie
stampe del Cinquecento e del Seicento, il ponte sul fiume affianco della stazione
di Genova Brignole aveva 14 arcate: adesso si sono ridotte a 4-5 arcate. Pensi un
po’ come è stato ridotto lo spazio vitale di un fiume. In una città come Genova, che
ha alle spalle un territorio molto scosceso, quando ci sono queste nuove precipitazioni,
che sono molto intense rispetto ai decenni precedenti, si può ben capire il sistema
di drenaggio delle acque e i tombinamenti come possono essere pericolosi per questa
città.
D. – Voi geologi parlate della necessità di un piano organico: nello
specifico, cosa intendete?
R. – Noi rilanciamo sempre questo discorso della
conoscenza, della prevenzione: intervenire in tempo di pace, piuttosto che in tempo
di guerra! Noi abbiamo bisogno di un nuovo disegno organico, di una nuova legge organica
per la tutela del territorio. Siamo partiti nell’89 con la Legge 183, che era all’avanguardia
proprio perché introduceva il concetto di autorità di bacino, che è stata poi, pian
piano, dimenticata. In questo momento siamo al punto che non abbiamo neanche più i
distretti di bacino funzionanti. Diamo conto che la tutela del territorio non è un
costo, ma è una risorsa, perché si può partire anche con piccoli interventi, offrendo
lavoro. Cerchiamo di utilizzare quelle poche risorse, magari per incentivare di nuovo
il ritorno alla tutela dei boschi, all’agricoltura. Nelle Cinque Terre, il problema
dei franamenti dei terrazzamenti e dei muretti a secco è dovuto proprio all’abbandono
delle campagne. Secondo noi bisogna investire sul territorio, perché – ribadisco –
è anche un volano per l’economica, perché può dare dei posti di lavoro.