Due novembre, la morte "rimossa" causa più sofferenza
P. Massimo Pampaloni, sj, Pontificio Istituto Orientale La Chiesa celebra
la festa di "Ognissanti" alla vigilia della "Commemorazione dei defunti" proprio perché
la tristezza che proviamo pensando ai nostri cari che ora dormono il sonno della pace,
venga compensata dalla luce della grande gioia del Paradiso che ci apre alla speranza.
E' la Gloria di tutti i santi a darci la chiave di interpretazione per leggere il
giorno in cui si ricordano i nostri defunti. I funerali sono un'opportunità
eccezionale di annuncio. Molte persone, lontane dalla fede, si avvicinano ai sacerdoti
dopo aver ascoltato un'omelia durante le esequie di un parente o di un amico. Questo
dimostra che a parlare della morte siamo rimasti solo noi, per la rimozione culturale
del concetto di fine della vita compiuta nella nostra società. "Esercitiamoci,
perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla
morte" scrive S. Ambrogio ed è la traduzione patristica di quanto affermano gli psicologi,
la rimozione della morte si ritorce contro chi la attua. Nel saggio "Storia della
morte in Occidente: dal medioevo ai giorni nostri" lo storico francese Philippe Ariès
dimostra come il timore della morte è aumentato nella misura in cui il lutto è stato
privatizzato, rimosso. Vivere questo momento in una dimensione comunitaria aiuta ad
affrontarlo psicologicamente e spiritualmente. (Intervista a cura di Fabio Colagrande)