Sinodo. Il dovere di annunciare Cristo: interviste con il card. Erdö e don Carrón
Testimoniare il Vangelo è un dovere per tutti i battezzati. Così il cardinale Péter
Erdö, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali dell'Europa, commenta
i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione conclusi domenica scorsa in Vaticano.
Ascoltiamolo tracciare un bilancio dell’assise al microfono di Paolo Ondarza:
R. - Penso che
questo sia stato un Sinodo molto ricco di contenuto. L’evangelizzazione non è soltanto
la trasmissione di un contenuto intellettuale - questo sarebbe un’informazione - ma
noi dobbiamo essere testimoni. Tutti i fedeli, tutti i singoli battezzati hanno questo
dovere. Quindi, evangelizzare non è una cosa facoltativa, compito di una categoria
di cristiani, ma è un dovere strettamente connesso con il battesimo stesso.
D.
- Quali le frontiere della Chiesa in Europa, per fare nuova evangelizzazione?
R.
- Prima di tutto, la nuova evangelizzazione non si riferisce soltanto a questi continenti
di antica tradizione cristiana, però ha un significato speciale nel nostro mondo,
dove la cultura cristiana, una volta, era quella dominante; oggi in seguito alla secolarizzazione,
non è più così. All’interno dell’Europa ci sono delle differenze molto grandi, per
esempio tra Paesi come l’Olanda e la Turchia, l’Italia e la Russia e così via. Tuttavia
nelle diverse situazioni, troviamo elementi comuni ed uno di questi elementi è sicuramente
la grande secolarizzazione.
D. - Il messaggio del Vangelo, lei ha detto, è
scritto, inciso nelle pietre delle città del Vecchio Continente, disegnato e dipinto
nelle opere d’arte che le rendono belle e attraenti per i tanti turisti che visitano
i Paesi europei…
R. - L’eredità artistica, presente negli edifici che vediamo
nelle nostre città, porta ancora il messaggio del Vangelo. Quindi, se noi non annunciamo
il Vangelo, cominciano a “gridare le pietre”. Noi siamo chiamati a spiegare “la voce
delle pietre”. Dobbiamo conoscere questa nostra eredità e apprezzarla: tante persone
lontane dalla Chiesa sanno apprezzare la cultura cristiana pur non avendo una vita
di fede. Siamo chiamati ad evangelizzare anche attraverso questi mezzi.
D.
- L’evangelizzazione in Europa esce rinnovata da questo Sinodo?
R. - Ne sono
convinto, sì. È per questo che preghiamo.
Portare la gioia di essere cristiani
in tutti gli ambienti della vita quotidiana. E’ ciò che da sempre anima la Fraternità
di Comunione e Liberazione e che ancora oggi è la strada indicata dai suoi appartenenti
per la nuova evangelizzazione. Tra i padri partecipanti al Sinodo sulla nuova evangelizzazione
c’era don Julián Carrón, presidente di Cl. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Mi ha colpito,
rileggendo il documento Porta Fidei, il fatto che il Papa comincia dicendo
che oggi non si può dare per scontata la fede: non è un presupposto ovvio. Con questa
impressione, e rileggendo poi l'Instrumentum laboris per la preparazione del
Sinodo, mi ha colpito molto un passaggio in cui si metteva in evidenza la preoccupazione
per il fatto che il cristianesimo non viene comunicato nei luoghi in cui si svolge
la vita degli uomini: il posto di lavoro, il quartiere... Questa è veramente una sfida
che dobbiamo affrontare, perché attualmente non richiamiamo alcun interesse. Questo
ci dice della sfida che il cristianesimo diventi una realtà presente in noi, nel modo
di affrontare le cose di tutti i giorni, perché altrimenti sarà difficile che gli
uomini si possano interessare a quello che facciamo quando la domenica ci incontriamo
per la Messa.
D. - Quindi, essere nei luoghi in cui si trova la gente, intercettare
la gente e anche la richiesta di assoluto che ha l’uomo. Nella vostra esperienza concreta,
questo come si traduce?
R. - Si traduce nel tentativo costante di essere presenti,
adesso come prima, nell’ambiente, nella scuola, nell’università e nei luoghi di lavoro,
dove - con il nostro tentativo sempre “ironico” - cerchiamo di rendere presente il
cristianesimo come proposta e testimonianza. Noi questo ce l’abbiamo a cuore, perché
è la possibilità per noi stessi di poter verificare - nella vita concreta, nel lavoro,
nella famiglia, nei rapporti - la verità di quello in cui crediamo. E in primo luogo,
lo vogliamo per noi stessi, perché se questo sarà vero per noi, noi stessi potremo
dimostrare agli altri come la fede sia in grado di rinnovare la vita quotidiana.
D.
- Deve partire da un’esperienza di conversione personale?
R. - Certo, è l’inizio
di qualsiasi comunicazione della fede. E’ il primo passo. Convertendoci a Cristo,
potremo poi toccare con mano che questa conversione è utile per la vita, per la nostra
vita, per la vita degli uomini nostri fratelli e per la vita del mondo.
D.
- Oggi, tutto questo ha una motivazione in più, se pensiamo anche alla crisi valoriale
– anche a livello politico – che la nostra società sta attraversando. Come può tradursi
questo impegno, quindi?
R. – Già nel modo in cui, per esempio, ciascuno vive
la propria professionalità sul posto di lavoro, nel modo in cui è presente nel quartiere
o nel piccolo paese dove abita. Se quello che prevale è il nuovo stile di vita, insieme
con il desiderio di comunicarlo all’altro affinché diventi un bene per gli altri –
sottolineando quindi anche l’aspetto del bene comune che può ritornare a tutti – ciò
significa che esso potrà poi raggiungere anche le persone che si impegnano direttamente
nel campo politico.
D. - In apertura dell’Anno della Fede, qual è il suo auspicio?
R.
- Il mio augurio, e il mio desiderio, per me e per tutti gli amici, per tutti i cristiani,
è quello che ci dice il Papa: di sapere riscoprire il valore della fede, affinché
possiamo uscire da questo Anno della Fede più convinti, più persuasi che mai del fatto
che la fede è il dono più prezioso che ci è capitato nella vita.