2012-10-30 16:05:06

Afghanistan: prossime presidenziali il 5 aprile 2014. Karzai non potrà ripresentarsi


Sono state fissate per il 5 aprile del 2014 le elezioni presidenziali in Afghanistan, un Paese ancora non del tutto pacificato. Le consultazioni coincidono praticamente con il ritiro delle forze della coalizione, che lasceranno Kabul qualche mese prima. L’evento segna la fine dell’era presidenziale di Hamid Karzai, che non potrà presentarsi per un terzo mandato. Sullo scenario che va delineandosi in Afghanistan, l'opinione di Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, intervistato da Giancarlo La Vella:RealAudioMP3

R. – Certamente, il ritiro delle truppe internazionali proietta su queste elezioni presidenziali un’ombra molto, molto lunga e anche un po’ fosca. E' anche possibile che per il dopo-Karzai emergano personaggi poco noti, esattamente come lo era a suo tempo Karzai stesso, che era una figura influente dell’opposizione e dei talebani, ma piuttosto ignota fuori dagli specialisti del settore.

D. – Perché, durante il suo mandato, non ha ricevuto il favore della maggioranza del suo Paese?

R. – Credo che in questo ci siano tanti fattori da tenere presenti. Innanzitutto, Karzai è molto identificato, piaccia o no, con l’occupazione o la liberazione portata dalle truppe internazionali e questo a molti afghani non piace. In secondo luogo, non è che Karzai sia stato un modello di efficienza né di trasparenza. In terzo luogo, va considerato un fattore in qualche modo indipendente dalle parti in causa e cioè la struttura fortemente tribale dell’Afghanistan: Karzai è un rappresentante della maggioranza pashtun e chi rappresenta una determinata tribù ha diritto ad un certo "spoil system", sia dal punto di vista delle risorse, sia dal punto di vista dei posti di potere. Il che significa, altrettanto ovviamente, che quelli che da questo "spoil system" sono tagliati fuori, non possono essere granché contenti.

D. – Proiettiamoci nella situazione del 2014: non ci sarà più la forza internazionale, ci sarà un nuovo presidente. In che modo, la comunità internazionale dovrà interfacciarsi con le autorità afghane?

R. – Questo è veramente difficile da dire, perché un’interfaccia troppo stretta, un’assistenza troppo diretta, provoca in qualche modo l’ostilità di una parte della popolazione che si sente messa sotto tutela, espropriata delle proprie capacità di decisione. D’altra parte, una delle grandi difficoltà dell’operazione in Afghanistan è proprio la lontananza e quindi l’assenza del contatto. In altre parole, tenere d’occhio quello che succede in un Paese al confine con il Pakistan, lontanissimo dall’Occidente – e che invece dev’essere assistito con continuità e con una profonda conoscenza del territorio – diventa molto complicato. Io credo che dobbiamo archiviare la sfida di questi dieci anni e riconoscere con franchezza che i risultati realmente ottenuti sul campo, che non mancano, sono però molto lontani da quelli che ci aspettavamo. E poi cominciare fin da subito a preparare il “dopo”, perché il “dopo” – è inutile nasconderselo – può svolgersi in maniera relativamente tranquilla, ma può anche aprire le porte a una vera catastrofe, se le forze distruttive e ostili ai progressi che sono stati fatti in questi anni dovessero coagularsi e prevalere.







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