Prima biografia completa di Don Di Liegro a 15 anni dalla morte
Il 12 ottobre 1997 moriva mons. Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana
di Roma. A quindici anni dalla scomparsa, la Fondazione che porta il suo nome ha presentato
la prima biografia completa del religioso. Edita da "Il Mulino", si intitola "Carità
e Giustizia" e ne è autore don Maurilio Guasco, professore emerito dell'Università
del Piemonte Orientale e docente al seminario di Alessandria. Davide Maggiore
lo ha intervistato:
R. - Io credo
ci sia un filo conduttore proprio nell’esperienza di quest’uomo che non ha mai fatto
le cose singole, ha vissuto tutta una vita attraverso un filo che lo seguiva: l’attenzione
all’emarginato e al povero. Tutte le attività di don Luigi, gli ostelli, i malati
di Aids, gli immigrati hanno a monte l’idea che bisogna creare una società più solidale.
Questo tema è costante nella sua vita e ciò che ha mosso don Luigi è la convinzione
che c’è un mondo da recuperare. Per lui parlare di immigrati, di ammalati, era un
po’ analogo, le persone erano diverse ma la sua preoccupazione era la stessa.
D.
- In questa chiave è impossibile non pensare all’attività di don Luigi Di Liegro come
fondatore e come direttore della Caritas diocesana di Roma. A questo proposito lui
parlava di pensare in grande alla carità, cosa significa?
R. - Il passaggio
dal concetto della carità come elemosina, che è un dato assolutamente positivo, alla
carità come riorganizzazione dei servizi in funzione ancora una volta del povero.
Pensare in grande per lui significava non pensare che la carità è prima di tutto l’elemosina,
è anche l’elemosina, ma è creare una società dove ci sia una maggiore giustizia. Don
Luigi dice: finché agiamo sulle conseguenze e non pensiamo alle premesse raccogliamo
i cocci di una società che provoca cocci. Noi vogliamo creare una società che non
provochi più cocci e forse questo è proprio pensare in grande alla carità.
D.
- E’ una visione questa che non si sostanzia solo nell’azione ma trae origine da una
ben precisa spiritualità…
R. - Questo è un aspetto cui tengo molto perché don
Luigi è l’uomo dell’azione. Sembra che passi la vita ad agire, don Luigi spesso dice:
se io al mattino non dedico almeno un’ora alla preghiera non combino più niente! Don
Luigi è un uomo di una profondissima spiritualità e credo che molte delle cose che
fa le fa perché ha una coscienza acuta della presenza del Signore in lui: cioè, l’idea
che se non siamo mossi dallo Spirito Santo e da una coscienza forte, da una spiritualità
forte, rischiamo, come dice San Paolo, di essere campane che fanno tanto rumore ma
vuote dentro. Don Luigi non era vuoto dentro, faceva rumore, è vero, ma lo faceva
perché era ricchissimo di spiritualità.
D. - Sono passati 15 anni dalla scomparsa
di don Di Liegro: cosa ci lascia idealmente oggi questa figura?
R. - Indubbiamente
ci lascia l’eredità delle cose che ha fatto. L’ostello, i luoghi di incontri, le case
per malati di Aids, sono pure un’eredità, cose che ha fatto. Ci ha insegnato un modello
per affrontare i problemi della società con le sue realizzazioni. Quindi da un lato
c’è un’eredità attiva, le cose che ha fatto rimangono ancora oggi; dall’altra ci ha
lasciato un esempio da seguire, cioè in un tempo determinato lui ha fatto certe cose,
ha imparato a rispondere ai bisogni del momento. La verità maggiore è sempre questa:
sapere rispondere ai bisogni che la società ci propone di volta in volta.