Il card. Filoni: la lettera del Papa alla Chiesa cinese è sempre valida e attende
risposta
Cinque anni fa, era il 27 maggio 2007, Benedetto XVI rendeva pubblica la sua Lettera
alla Chiesa in Cina. Cinque anni dopo, cosa è cambiato nei difficili rapporti tra
la Santa Sede e Pechino? A questa domanda risponde, con brillantezza e grande competenza,
il cardinale Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide, il dicastero competente
per le questioni della Chiesa in Cina. Pagine nitide nella disamina che ribadiscono:
la Lettera del Papa “resta valida”, come pure la sua richiesta di un “dialogo rispettoso
e costruttivo” con le autorità di Pechino, per il quale si chiede però un salto di
qualità. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Passare dalla
libertà “di un uccellino in gabbia” a un confronto sullo stesso livello e “di pari
dignità”. La prima cosa che colpisce, trattandosi di un argomento molto delicato,
è la schiettezza nonché l’equilibrio tra fermezza e rispetto che attraversa in filigrana
tutta la sua analisi. Il cardinale Filoni esprime le proprie considerazioni sulla
complessa vicenda dei rapporti tra Vaticano e Cina, e tra la Chiesa cinese e le autorità
nazionali, con l’incisività di chi quella storia la porta impressa sulla pelle, avendo
vissuto un decennio a Hong Kong tra il ’92 e il 2000. Sviluppando il suo pensiero
in un articolo richiestogli da “Tripod”, rivista della diocesi di Hong Kong, il prefetto
di Propaganda Fide dapprima ricorda che fino al 1950 il Vangelo in Cina era stato
“come un fiume di acqua limpida” e che solo dopo il “terremoto” che ne “sconvolse
la vita” una parte di quel fiume aveva preso “a fluire sotto terra” – cioè la cosiddetta
“Chiesa clandestina” – e un’altra continuato “a scorrere in superficie”, ovvero la
cosiddetta “Chiesa patriottica”. La prima, fedele al Papa, non volle sottostare –
spiega – ai “compromessi” né al “controllo politico”, l’altra invece li accettò “per
calcolo esistenziale”. Dunque, scrive il cardinale Filoni, “ci si domandava: sarebbero
mai tornate quelle acque a scorrere insieme liberamente e apertamente?”.
È
a questo punto della vicenda, prosegue, che interviene la Lettera pontificia del 2007,
un documento – ripete – a carattere religioso, “non politico”. Consapevole che per
sanare “le profonde ferite interne” della Chiesa cinese – dovute a decenni di “pressioni
esterne” e ai muri di incomprensione sorti tra le due “correnti” – bisognasse “spianare
la strada” a relazioni migliori tra Vaticano e Pechino, Benedetto XVI decide di affermare
in modo pubblico e chiaro la “disponibilità” a un “dialogo rispettoso e costruttivo”
con le autorità di Pechino, nella consapevolezza – ricorda il cardinale Filoni – che
“la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente
conflitto”. Inoltre, il Papa desidera la “riconciliazione” della Chiesa cinese e dunque
sa che bisogna “eliminare pregiudizi e interferenze, divisioni e connivenze, odio
e ambiguità”, avviando “un processo di verità, di fiducia, di purificazione e di perdono”,
senza chiedere “privilegi” per la Chiesa, ma offrendo con essa il “contributo per
il bene comune” della Cina e, al contempo, rivendicando – afferma il prefetto di Propaganda
Fide – “la libertà di compiere la sua missione senza interferenze civili e nel rispetto
sia delle leggi dello Stato, sia dei principi di verità, di giustizia e di collaborazione”.
Obiettivo raggiunto? Il cardinale Filoni pone con franchezza dei rilievi critici.
In questi cinque anni, rileva, “alti e bassi” sono seguiti alla pubblicazione della
Lettera papale e almeno tre grossi ostacoli si sono resi evidenti. Primo, rileva,
le autorità di Pechino hanno “acuito il controllo dello Stato sulla Chiesa”, con “un
accanimento verso il clero cosiddetto 'clandestino'” al fine di portarlo ad aderire
all'Associazione Patriottica, cioè “istituzione preposta al controllo della Chiesa
in Cina al fine di renderla indipendente dalla cattolicità e dal Papa”. Mentre dal
canto suo, l’Associazione “ha accresciuto il proprio controllo anche sulla comunità
cosiddetta 'ufficiale'” (vescovi, clero, luoghi di culto, finanze, seminari). Secondo,
le nomine dei vescovi hanno “portato alla scelta di candidati spesso discutibili,
quando non moralmente e pastoralmente inaccettabili, sebbene graditi alle autorità
politiche”. E terzo, le consacrazioni episcopali, sia legittime, sia illegittime,
sono state forzate attraverso l'intromissione nei riti di vescovi illegittimi, creando
drammatiche crisi di coscienza, sia nei Vescovi consacrati, sia nei Vescovi consacranti”.
Quando la Santa Sede ha reagito negli anni a questo stato di cose, forse – osserva
il porporato – le sua parole “non sono state ben recepite, poiché non si è capito,
o non si è tenuto presente, che esse erano dettate dalla preoccupazione di rimanere
fedeli a determinati valori, che appartengono alla dottrina e alla tradizione della
Chiesa e, quindi, ne garantiscono l'identità stessa”. Fermo restando che, “alla radice
di tutti questi interventi c'è sempre stato un sincero e profondo rispetto per i Cattolici
cinesi”.
Lo sguardo del cardinale Filoni arriva all’oggi provando ad auspicare
un futuro diverso e migliore. Se “in concreto – asserisce – la situazione permane
grave” e si riscontra un ricorso più accentuato a “sessioni di indottrinamento e a
pressioni”, pure “vent’anni di contatti” tra Santa Sede e Cina fanno pensare al fatto
che sia venuto il “tempo di pensare ad un nuovo modo di dialogare, anche più aperto
e ad un livello più equivalente”. La Santa Sede, ricorda, “ha un dialogo aperto e
franco con molti Paesi”, come con il Vietnam. E da parte loro, soggiunge, “Pechino
e Taipei hanno Commissioni stabili ad altissimo livello per trattare questioni di
reciproco interesse”. “Non è possibile – si chiede –sperare in un adeguato e sincero
dialogo con la Cina?” “La Lettera del Papa al clero e ai fedeli cinesi – dichiara
il cardinale Filoni – resta valida. Gli avvenimenti di questi cinque anni nella Chiesa
in Cina ne hanno ribadito il valore, l'opportunità e l'attualità. Dopo incertezze,
dubbi, paure e restrizioni che ne hanno rallentato la conoscenza e la comprensione,
ora si apre un tempo in cui il documento pontificio può essere meglio compreso, può
rappresentare un punto di partenza per il dialogo nella Chiesa in Cina e può stimolare
quello tra Santa Sede e Governo di Pechino”. E conclude: “Il documento pontificio,
dunque, mi pare ancora un ammirevole punto di riferimento che mette bene in evidenza
la passione del Papa per la verità, la giustizia politica e l'amore per il suo popolo.
Ma è anche un testo in cui si coniugano la dottrina cattolica, la visione politica
e il bene comune. Esso attende una risposta”.