Crisi: nessun accordo tra Grecia e Troika per il salvataggio del Paese
Esperti e consulenti internazionali per affiancare il governo ellenico, e un conto
vincolato per il versamento degli aiuti ad Atene: sono questi gli elementi di una
proposta franco-tedesca per aiutare Atene a recuperare la fiducia degli investitori,
dall'esterno. Intanto nessun accordo con la Troika né sui fondi né sull’eventuale
proroga di due anni chiesta dal Paese ellenico per ripianare il proprio deficit di
bilancio. Sulla situazione in atto, Salvatore Sabatino ha intervistato l’economista
Giovanni Marseguerra: R. – La situazione
che si è creata in Grecia è molto complicata sia nel breve sia nel lungo periodo.
In questo momento, la troika sta contrattando con il governo greco una serie di misure,
per ottenere questa ulteriore tranche di aiuti. D’altro canto, qualunque accordo il
governo greco raggiunga con la troika, dovrà poi essere approvato dal parlamento greco
e, in questo momento, la coalizione che sostiene il governo ellenico è tutt’altro
che unita, anche perché la materia del contendere è la riforma del lavoro, che ha
quindi dei risvolti sociali particolarmente marcati. Quindi, la questione è piuttosto
complicata e l’annuncio di ieri mi è sembrato abbastanza prematuro. D. – Su una
cosa non ci sono dubbi: Atene continua a essere l’anello debole dell’Europa. E l’Europa,
dopo un lungo periodo in cui pensava concretamente di far uscire la Grecia dall’Eurozona,
ora ha capito che sarebbe un danno veramente per tutti. Insomma, un cambiamento di
rotta netto...
R. – La Grecia certamente è in gravi difficoltà. Sembra che
i soldi nelle casse dello Stato greco siano sufficienti ad arrivare solo a metà novembre.
L’aiuto dovrà avvenire. D’altro canto, si vede anche come la situazione sociale in
Grecia sia esasperata, quindi l’Europa si trova nella difficile situazione di voler
salvare la Grecia i principi che stanno ispirando la politica economica comunitaria.
Però, nel contempo, si trova a dover fronteggiare la situazione esplosiva del Paese,
che potrebbe diventarlo ulteriormente se venisse varata una manovra così rigida e
così penalizzante. Forse, è arrivato il momento di ripensare la politica economica
europea e convincersi che la sola austerità non ci porta fuori dalla crisi. E i dati
mi sembra stiano dimostrando che il debito a livello dell’Eurozona – lo diceva l’Eurostat
proprio qualche giorno fa – continua a salire. D. – A confermare questi dati, anche
quelli concernenti la Germania, che è considerata la "locomotiva" d’Europa, eppure
sembra perdere i primi colpi. I dati di crescita, anche in questo Paese, non vanno
molto bene e sta succedendo quello che si temeva... R. – Era inevitabile che anche
la stessa Germania risentisse della crisi dell’Eurozona. L’Eurozona e la Ue, in generale,
sono un importante mercato di sbocco per i prodotti tedeschi e dunque era impensabile
che la Germania non venisse colpita dalla situazione di crisi di tutti questi Paesi.
La Germania deve avere a questo punto la lungimiranza di capire che è solo rimanendo
coesi e lavorando assieme senza spiriti di rivalsa che l’Europa può uscire da questa
situazione.
D. – Allargando la prospettiva a tutta la situazione europea, si
ha l’impressione che sia un momento di attesa generale. Tutto è in divenire, eppure
la crisi continua a fendere i suoi colpi. Questo "attendismo" può avere a che fare,
in qualche modo, con le elezioni americane che sono alle porte?
R. – Certamente,
il risultato delle elezioni americane avrà influsso su quanto avverrà nei prossimi
mesi. La Federal Reserve ha un presidente, Ben Bernanke, che scade nel gennaio 2014.
Ora, Romney ha già detto che non è d’accordo con la politica della Fed degli ultimi
anni e, dunque, se dovesse diventare lui presidente lo sostituirebbe, al fine di avere
una politica meno espansiva. Se dovesse restare presidente Obama, non è neanche detto
che lo stesso Ben Bernanke resti alla guida della Fed nell’ultimo anno del suo mandato,
perché potrebbe dimettersi lui stesso. Quindi, certamente, c’è una situazione di attesa.
Bisogna, però, cominciare a pensare che l’Europa debba risolvere i suoi problemi da
sola, trovare al suo interno la forza e la coesione politica per affrontare in maniera
incisiva le difficoltà. Purtroppo, non ci si rende conto che la globalizzazione ci
obbliga ad uno sforzo di solidarietà più marcato: un salto di qualità che l’Europa
in questo momento fa fatica a fare.