Malattie rare: presentata un'indagine su costi e misure per contrastare le diseguaglianze
Malattie rare: rilevazione dei bisogni assistenziali e dei costi sociali ed economici
che gravano sulle famiglie dei malati, ma anche elaborazione di misure di sostegno
e di non esclusione. Questo lo scopo dell’indagine "Diaspro Rosso" condotta dalla
Federazione italiana malattie rare (Uniamo) al fianco di istituzioni e associazioni,
in nove regioni, prevalentemente del centro sud, e su cinque patologie. I risultati
e le proposte emerse, nel servizio di Gabriella Ceraso:
505 patologie
rare e 145 mila malati in Italia. Non sono molti, ma il loro peso è altissimo per
le carenze del sistema assistenziale cui sopperiscono le famiglie impoverendosi, con
spese annue dai circa 4.000 ai 7.000 euro, isolandosi e cambiando prospettive e legami
sociali. Oltre ai costi c’è la ricaduta lavorativa: 6 su 10 malati non sono autonomi,
3 su 4 ricorrono ad assistenza continuativa e 1 famiglia su 4 ricorre al personale
a pagamento. L’8,6% dei malati lascia il lavoro, ma anche chi lo assiste, se familiare,
nella misura del 6 per cento si ritira anzitempo. E la situazione peggiora al Sud.
Le criticità derivano da numerosi fattori, in primis il taglio delle risorse. L’on.
Paola Binetti dell’intergruppo parlamentare per le malattie rare:
“Si
sono assottigliate anche le risorse che riguardano una serie di fondi speciali. Quindi,
noi chiediamo prima di tutto coerenza al governo e poi chiediamo equità. Non si può
fare una politica di rigore economico, ignorando che, contestualmente, bisogna fare
una forte politica di solidarietà nazionale e almeno una forte politica capace di
valorizzare tutte le iniziative di sussidiarietà”.
Altre criticità derivano
dai ritardi nella diagnostica - per esempio, si attende da 1 a 6 anni per avere una
diagnosi definitiva e si va fuori regione per averla - ai centri di competenza che
sono pochi e troppo distanti, alle carenze nella erogazione di benefici e nei servizi
riabilitativi e psicologici, a fronte invece di una buona risposta di diritti esigibili.
In realtà, le eccellenze ci sono in Italia: c’è il registro di sorveglianza, unico
al mondo, ci sono degli ottimi ricercatori e c’è il più che efficiente associazionismo.
Lo sottolinea anche Bruno Dalla Piccola, direttore scientifico dell’Ospedale
Bambin Gesù di Roma:
“Voglio dire che, a livello di ricerche, gli studi
dell’Italia sono esemplari da tutte le parti. Quando noi andiamo a vedere e ci confrontiamo
con i Paesi europei, ci rendiamo conto che l’attività di un anno dell’Italia non ha
molto da invidiare a molti altri Paesi europei. Detto questo, credo che bisogna veramente
rimboccarsi le maniche”.
Allora, cosa fare per sostenere le famiglie e
i malati, anche in tempi di spending review? Nell’indagine alcuni suggerimenti
normativi, ma anche organizzativi, tra cui la revisione dei livelli essenziali di
assistenza per le malattie rare e la revisione anche delle norme concernenti l’erogazione
dei sussidi, per evitare frammentarietà e disuguaglianza di trattamento. E ancora,
potenziamento dell’"help-line", degli sportelli per le malattie rare, dell’assistenza
territoriale dei servizi di sollievo e di sostegno, soprattutto fare più formazione.
Sentiamo Renza Barbon Galluppi, responsabile del progetto:
“'Sospetto
diagnostico' da dare al territorio: pensare cioè che dentro ci possa essere un problema
di malattia rara. Quindi, fare formazione. C’è questo obbligo. I soldi ci sono molto
spesso, però le regioni li usano per altre cose, perché non c’è un’utenza capace di
andare a rivendicare determinati diritti. Quindi, da una parte, l’empowerment
e la formazione, poi l’assistenza e la struttura. Non possiamo continuare ad andare
avanti nel volontariato”.