Udienza generale. Il Papa: avere fede è un dono di Dio e un atto di libertà dell'uomo
La fede è un “dono soprannaturale”, ma anche un libero atto dell’uomo che decide consapevolmente
di affidarsi all’amore di Dio, che cambia la vita. Benedetto XVI ha ripetuto questa
“verità elementare” alle migliaia di persone che ieri mattina, all’udienza generale
in Piazza San Pietro, hanno ascoltato la sua seconda catechesi dedicata all’Anno della
Fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Decenni di “pianificazione”,
di calcoli esatti, di sperimentazione hanno trasformato l’umanità in una moderna versione
di San Tommaso: credo solo a ciò che tocco. Parte da questo punto la riflessione del
Papa sullo stato della fede oggi nel mondo. Gli slanci degli inizi, rileva, sono finiti
nel vortice di mille domande che chiedono cosa sia la fede e se ancora serva a qualcosa.
In parallelo, è cresciuta la “fede” nella tangibilità della scienza e della tecnica,
senza che tuttavia la “grandezza” e l’importanza delle loro scoperte, ha constatato
Benedetto XVI, siano riuscite a rendere l’uomo davvero “più libero, più umano”:
“A
volte, si ha come la sensazione, da certi avvenimenti di cui abbiamo notizia tutti
i giorni, che il mondo non vada verso la costruzione di una comunità più fraterna
e più pacifica; le stesse idee di progresso e di benessere mostrano anche le loro
ombre (…) Un certo tipo di cultura, poi, ha educato a muoversi solo nell’orizzonte
delle cose, del fattibile, a credere solo in ciò che si vede e si tocca con le proprie
mani”.
È il problema che nasce, prosegue il Papa in chi ha una “visione
solo orizzontale della realtà”. Una visione che da sola non basta, perché oltre il
sapere c’è un’altra sapienza che porta diritti nel cuore di Dio:
“Noi abbiamo
bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di
speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con
un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi
quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiducioso affidarsi a un ‘Tu’, che
è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida di quella che mi viene
dal calcolo esatto o dalla scienza”.
La fede, ha proseguito Benedetto XVI,
è un “dono” che viene dall’alto e, insieme, “un atto autenticamente umano” in un amore
“che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo”, che consola, che salva:
“Penso
che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da
problemi e situazioni a volte drammatiche – sul fatto che credere cristianamente significa
questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo (...)
E questa certezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla
con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani”.
Credere,
ha incalzato ancora il Papa, “non è un semplice “assenso intellettuale dell’uomo”,
ma un libero atto di fiducia verso Dio. Certo, non un’“adesione priva di contenuti”,
perché la fede rende consapevoli che Dio è diventato tangibile, carne, in Gesù:
“Il
rifiuto, dunque, non può scoraggiarci. Come cristiani siamo testimonianza di questo
terreno fertile: la nostra fede, pur nei nostri limiti, mostra che esiste la terra
buona, dove il seme della Parola di Dio produce frutti abbondanti di giustizia, di
pace e di amore, di nuova umanità, di salvezza. E tutta la storia della Chiesa, con
tutti i problemi, dimostra anche che esiste la terra buona, esiste il seme buono e
porta frutto”.
Dalla consapevolezza della fede al suo dono. Nel mondo
innamorato più della materia che dello spirito, diffondere il Vangelo – ha messo in
guardia Benedetto XVI, può presentare dei “rischi”, primo fra tutti quello del rifiuto
di Cristo. Ma, ha obiettato…
“…non è contrario né alla libertà né all’intelligenza
dell’uomo (…) Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un
esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali,
per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera
libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti”.
Tra
i saluti particolari al termine delle catechesi in lingua, il Papa si è rivolto ad
alcuni gruppi di religiose – tra le quali le Suore della Santissima Madre Addolorata
riunite in Capitolo generale – e ai delegati dell’Unione Apostolica del Clero nel
150.mo di fondazione. Quindi, al tradizionale pensiero finale dedicato ai nuovi sposi,
ai giovani e agli ammalati, Benedetto XVI si è soffermato sulla figura del Beato Giovanni
Paolo II:
“Cari giovani, imparate ad affrontare la vita con il suo ardore
e il suo entusiasmo; cari ammalati, portate con gioia la croce della sofferenza come
ha saputo insegnarci lui stesso; e voi, cari sposi novelli, mettete sempre Dio al
centro, perché la vostra storia coniugale abbia più amore e più felicità”.