Pakistan: un’altra ragazza sotto tiro dei talebani. I vescovi: cresce l’intolleranza
Hina Khan è una adolescente minacciata dai talebani come Malala Yousafzai, la ragazza
colpita da un attentato nella valle di Swat e oggi in ospedale nel Regno Unito. Anche
Hina, 17enne musulmana, vive nella valle di Swat ed è attiva in una campagna per l’istruzione
femminile da quando aveva 13 anni. Hina ha ricevuto una serie di avvertimenti e ha
trovato una “X” rossa dipinta sulla porta principale della sua residenza a Islamabad.
Secondo gli osservatori, è l’obiettivo n. 1 nella lista dell’organizzazione “Tehrik-e-Taliban
Pakistan” (Ttp), quella che ha colpito Malala. Oggi Hina non può uscire di casa, né
andare a scuola e la sua famiglia ha chiesto la protezione del governo. Nel 2007 Hina
aveva pubblicamente denunciato, con coraggio, la “talebanizzazione” del Pakistan:
i militanti hanno demolito centinaia di scuole (400 solo nella valle di Swat) e privato
dell’istruzione migliaia di ragazze. Secondo il Rapporto pubblicato dall’Unesco la
scorsa settimana, oltre tre milioni di bambine in Pakistan non hanno accesso all’istruzione.
“L'intolleranza è penetrata nel tessuto sociale poco a poco. Il Pakistan nel 2012
è diventato più intollerante, in realtà, rispetto a quanto mostrano i mass media pakistani”,
commenta in una nota inviata a Fides, Peter Jacob, Segretario della Commissione “Giustizia
e Pace” dei vescovi pakistani. Jacob non ha troppa fiducia nell’azione politica: “Anche
se la retorica politica è piena di sermoni su pace e armonia, nei piani alti della
politica si crede che l’estremismo sia troppo difficile da affrontare. Inoltre i casi
di blasfemia sono difficili da trattare, anche perché le elezioni sono dietro l'angolo”.
“Questo significa – prosegue Jacob preoccupato – che i gruppi vulnerabili, come le
minoranze, le donne e i bambini sono spacciati. L'intolleranza è penetrata nel tessuto
sociale e ora è nutrita da un autentico sottosistema economico. A preoccupare è la
crescente violenza contro le fasce più deboli, che resta impunita”. La speranza, secondo
il Segretario, sta in quei segmenti della società civile pakistana che, al di là di
ogni credo religioso, “resistono attivamente alla brutalizzazione della società”.
(R.P.)