Traffico di esseri umani in Sinai: dalle Ong all'Onu i nomi dei basisti in Sudan
La vita umana di chi è povero e perseguitato non vale nulla. E’ su questo assurdo
criterio che si basa il traffico di schiavi e organi umani che si svolge nel Sinai,
con radici in Eritrea e importanti riferimenti in Sudan. Da ieri, un nuovo importante
tassello si aggiunge nella lotta che diverse Ong conducono da anni a sostegno di migliaia
di giovani rapiti e uccisi sotto gli occhi indifferenti del mondo. Ne parla Roberto
Malini, presidente del "Gruppo EveryOne", al microfono di Gabriella Ceraso:
R. – Noi abbiamo
avuto, grazie a dei difensori dei diritti umani locali, una serie di nomi – undici
nomi – di basisti, molti dei quali purtroppo di nazionalità eritrea, che sono nel
campo profughi di Shegherab in Sudan, dove si ritrovano migliaia di eritrei. Questi
basisti conoscono bene le tradizioni e le abitudini degli eritrei e lavorano proprio
all’interno di locali nel campo: partecipano alle operazioni di convincimento, rivolte
ai ragazzi eritrei e di altre nazionalità, che desiderano spostarsi con il sogno di
raggiungere Israele. Oppure, addirittura, partecipano ad azioni di rapimento. Abbiamo
fatto i loro nomi, li abbiamo trasmessi al governo del Sudan, alle Nazioni Unite,
al Consiglio d’Europa, alle grandi organizzazioni che hanno la possibilità di intervenire.
Quanto meno speriamo che la popolazione del campo venga a conoscenza dei nomi di queste
persone e che queste possano così sentire una certa pressione esercitata sul loro
lavoro criminale.
D. – Non è la prima volta che avete o che fornite liste,
eppure nessuno si muove. L’immobilismo politico è ancora il problema fondamentale?
R.
– Sicuramente. Abbiamo ormai i nomi sostanzialmente di tutti i trafficanti del Sinai
e abbiamo avuto qualche intervento, ma assolutamente insoddisfacente rispetto alle
aspettative. Però, la grossa responsabilità di quello che accade è in Eritrea. Abbiamo
sentito testimonianze di figure legate al traffico che sono poi nomi grossissimi delle
forze armate eritree. Questo traffico, che parte dagli “intoccabili” eritrei, si
muove poi con gli “intoccabili” del Sudan, dove c’è corruzione ovunque, e prosegue
in Egitto. Ecco, il vero problema è la corruzione a tutti i livelli: è questo che
ci spaventa molto. Ed è questa, poi, la grande battaglia umanitaria da combattere.
Il miglioramento è che ora il mondo lo sa e che esiste una rete reale, che ha attivisti
anche sul posto, e che è in grado veramente di risolvere alcuni casi e di fornire
le nuove dinamiche di questo traffico. E questo è molto importante. Nonostante tutto
ciò, i numeri sono ancora altissimi: i milioni di dollari che girano in questo enorme
traffico sono veramente tanti, e quindi c’è tantissimo da fare e a livello numerico
i risultati non sono assolutamente soddisfacenti. Diciamo che forse il traffico di
esseri umani si è ridotto di un 10 per cento, e quindi la speranza è questa: che da
questi primi risultati virtuosi si possa arrivare ad una presa di posizione più coraggiosa
da parte delle istituzioni e quindi ad una vera azione globale contro il traffico.
In quel caso, pensiamo che in questo momento - poiché sappiamo tutti come sono i trafficanti,
come si svolge il traffico - perché non ci sono più misteri, sarebbe abbastanza fattibile
l’idea di smantellarlo.