Siria: 80 morti ieri. Scontri al confine con la Giordania. L'Onu spinge per una tregua
durante la festa del Sacrificio
Siria nel sangue: almeno 80 i morti degli scontri di ieri. Una lunga scia di violenza
che ha toccato soprattutto Damasco e Aleppo, per poi lambire il confine con la Giordania,
dove una sparatoria tra ribelli ed esercito di Amman ha provocato la morte di un
soldato giordano. Intanto, si affievoliscono le speranze di una tregua per la festa
islamica del Sacrificio, nonostante l’impegno del Palazzo di Vetro. Il servizio di
Marina Calculli:
L’Onu scommette
sulla tregua proposta da Lakhdar Brahimi che dovrebbe scattare venerdì e si prepara
a organizzare una forza di mantenimento della pace nel caso in cui il cessate il fuoco
sia duraturo. A accendere il semaforo verde per questa potenziale missione dovrà essere
però il Consiglio di Sicurezza. L’entusiasmo del Palazzo di vetro è tuttavia smorzato
dalla Lega Araba: Ieri Ahmad ben Hilli, braccio destro del segretario generale, ha
detto che “le speranze che la tregua sia rispettata sono debolissime”. Ma ancor più
delle parole sono i fatti a destare molti dubbi sulla possibilità che le armi possano
presto tacere. Ieri il regime ha tentato di recuperare diverse posizioni perdute a
Damasco, Aleppo, Idlib, Homs e Daraa, mentre gli scontri alla frontiera con la Giordania
hanno provocato persino la morte di un militare del paese vicino. Sotto i bombardamenti
è ancora Maaret el Nouman. Grazie alla conquista di questa località strategica i ribelli
dal 9 ottobre controllano la principale via di approvvigionamento dell’esercito. Intanto
secondo l’Osservatorio per i diritti umani è salito a 34.000 il numero dei morti dall’inizio
della crisi. Aleppo, cuore economico e città più popolosa della Siria, è diventata
il simbolo della guerra che sta insanguinando il Paese. La città da settimane è teatro
di battaglie senza esclusioni di colpi, in cui a pagare il prezzo più alto sono i
civili. Sulla drammatica situazione che vivono i suoi abitanti, Salvatore Sabatino
ha intervistato il collega Cristiano Tinazzi, appena rientrato da Aleppo:
R. - La situazione
che ho trovato è di estremo disagio per la popolazione civile. Chi può va via, cerca
di scappare dalla Siria. Il problema è che adesso, all’interno del confine siriano
si è formata una tendopoli di circa novemila persone che non possono neanche più andare
in Turchia, perché il campo profughi è pieno, quindi si trovano in una zona che è
una terra di nessuno e sono lì, fermi, aspettando la possibilità di poter passare.
D.
- Ci sono numerose testimonianze anche di grande solidarietà tra la popolazione...
R.
- Io - purtroppo – ho avuto la sfortuna di assistere ad un bombardamento in diretta
proprio nei pressi dell’ospedale di Al Chifa, ad Aleppo. Dopo pochissimi secondi,
forse un minuto o due, le macchine di civili che andavano avanti e indietro, correvano
per portare aiuto ai feriti, per tirarli fuori dalle macerie rischiando di essere,
a loro volta, colpiti perché comunque continuavano a cadere proiettili di mortaio.
Le persone poi vengono ospitate da altre famiglie, si cerca di dividere quel poco
che si ha. Come a Sarajevo si formano code lunghissime per il pane e fin dalle sette
del mattino: uomini, donne e bambini in fila, divisi, aspettando il loro turno. È
una situazione che mette tutti a dura prova. Devo dire che poi adesso è stata colpita
anche la comunità cristiana; vedremo che cosa succederà. Però quella zona della comunità
cristiana è sotto controllo governativo, per cui è anche difficile parlare con i cristiani
e cercare di capire il loro stato d’animo. D. – Aleppo, da cuore economico della
Siria, si è trasformata in cumolo di macerie ed epicentro delle violenze. C’è comunque
una reazione della gente di fronte a quanto sta accadendo o no?
R. - Non vedono
la fine del tunnel. Purtroppo la gente pensa a quello che deve fare ogni giorno per
“tirare a campare”. L’economia è ferma. Quasi più nessuno lavora, e si vive del minimo
di sussistenza grazie alle raccolte di fondi organizzate nei villaggi dove qualcuno
che ha più soldi di altri li mette a disposizione per comprare la farina, le lenticchie,
un po’ di grano... le cose che servono per mangiare tutti i giorni. Di carne se ne
vede poca sulle tavole delle persone. La benzina è aumentata incredibilmente, e la
gente sta aspettando che in qualche modo la situazione si sblocchi o che dall’esterno
arrivino degli aiuti. Purtroppo non può entrare nessuno; nessuna ong riesce ad entrare
in maniera concreta nel territorio siriano per aiutare la popolazione colpita da questa
grave sventura.
D. - Insomma, come in tutte le guerre, anche quello che sta
avvenendo in Siria è più drammatico di quello che possiamo immaginare noi che non
siamo nel Paese...
R. – Sicuramente. Io credo che non ci sia una percezione
concreta. È la stessa cosa che è accaduta in Bosnia: fino a quando tutti focalizzano
lo sguardo su quegli avvenimenti, tutto il mondo si mobilita. Però ormai è passato
un anno e mezzo e 30 mila morti, e ancora si continua a non parlare della Siria, a
non parlare della situazione siriana a meno che non ci sia un’autobomba o che i morti
superino le due – trecento unità ogni giorno; allora in quel caso, magari, esce un
articolo sui giornali. Però la realtà di tutti i giorni è veramente terrificante.
A noi giornalisti è bastato stare una settimana – dieci giorni per poter uscire traumatizzati
da quella realtà, ma sapendo che comunque saremmo andati da qualche parte, e potevamo
uscire. La maggior parte delle persone non ha nessun posto dove andare.