Processo Gabriele, le motivazioni della sentenza. Il 5 novembre il processo a Sciarpelletti
E’ stata pubblicata ieri la sentenza con le motivazioni del processo in Vaticano a
Paolo Gabriele. L’ex aiutante di camera del Papa condannato a 3 anni di reclusione,
con pena ridotta ad un anno e mezzo, per furto aggravato di documenti riservati. Nel
briefing con i giornalisti, il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico
Lombardi, ha ribadito che Gabriele è attualmente agli arresti domiciliari e che potrebbe
scontare la pena in Vaticano, salvo l’eventuale Grazia di Benedetto XVI. Annunciato
anche che il processo al tecnico informatico Claudio Sciarpelletti, accusato di favoreggiamento,
riprenderà il 5 novembre. Massimiliano Menichetti:
Quindici pagine
per spiegare, dettagliare, ripercorrere l’intera vicenda che ha portato alla condanna
a tre anni di carcere, ridotta a diciotto mesi grazie alle attenuanti, nei confronti
di Paolo Gabriele. Le motivazioni della sentenza hanno ribadito la piena capacità
di agire e la consapevolezza delle azioni dell’ex aiutante di Camera (la difesa stessa
aveva rinunciato alla perizia di parte che delineava in sostanza Paolo Gabriele come
un soggetto incapace di intendere e volere. L'unica perizia agli atti era dunque quella
disposta d'ufficio).
Precisato che il materiale sequestrato nella residenza
di Castel Gangolfo è stato escluso dal dibattimento, che alcuni documenti originali,
anche con firma del Papa, sono stati ritrovati nell’abitazione in Vaticano, insieme
ad un migliaio di fotocopie di altri atti riservati.
Esclusi, per assenza
di prove, complici o correi. I magistrati parlano invece di un “convincimento soggettivo”
di Gabriele nato in seguito a contatti e dialoghi con altri. Centrale la questione
del capo d’imputazione, ovvero il furto dei documenti, che secondo i giudici avrebbe
portato, oltre all'appropriazione, anche un vantaggio morale ed intellettuale a Gabriele:
per il "suo studio personale" e per le reazioni provocate in seguito alla divulgazione
degli atti.
Per i magistrati vaticani sono invece non rilevanti: la pepita,
l’assegno da 100 mila euro e la copia rara dell’Eneide. Questo sia per le testimonianze
discordanti sul dove e quando sarebbero state trovate, sia per la mancanza di una
colpevolezza oggettiva di Gabriele.
Nel briefing con i giornalisti, in Sala
Stampa Vaticana, il direttore padre Federico Lombardi ha precisato che l’ex aiutante
rimane agli arresti domiciliari in Vaticano, fino alla decorrenza dei termini previsti
per il ricorso d’ufficio, poi potrebbe scontare la pena in una delle celle allestite
della Gendarmeria.
Sollecitato dai giornalisti, padre Lombardi, ha confermato
la possibilità della grazia per il maggiordomo, senza però indicare modi e tempi.
Precisato anche che ammontano a mille Euro le spese processuali a carico del condannato.
Confermato che il promotore di Giustizia, Picardi, non ha chiuso il fascicolo relativo
ad altri eventuali reati e che il procedimento volto ad accertare le presunte violazioni
durante il primo periodo detentivo di Gabriele, sta facendo il suo corso.
Evidenziato
che l’interdizione dai pubblici uffici chiesta dall’accusa non ha avuto seguito, in
punto di diritto, perché non prevista per pene così brevi, ma che la gravità degli
atti compiuti da Gabriele ha escluso la sospensione condizionale della pena. Poi l’annuncio
che il prossimo 5 novembre riprenderà il processo a carico del tecnico informatico
Claudio Sciarpelletti, accusato di favoreggiamento.