Libano: l’esercito dispiega i suoi uomini in tutto il Paese per garantire la pace
Sale la tensione anche in Libano. L’esercito locale si è detto deciso a "fermare ogni
tentativo di destabilizzazione del Paese per salvaguardare la pace”. Il servizio è
di Paola Simonetti: I cecchini appostati
in alcuni quartieri di Beirut hanno seminato terrore e morte nelle ultime ore. Almeno
tre le vittime e 26 i feriti negli scontri esplosi fra milizie sunnite anti Assad
e gruppi alawiti filo siriani. Nella notte combattimenti anche a Tripoli, nel nord
del Paese. In Libano, dunque, non accenna a spegnersi la fiamma della battaglia, accesa
dall’uccisione del capo dell’intelligence libanese Al Hassan, vittima di un attentato
dietro il quale si sospetta vi sia la mano siriana. Intanto, ieri il presidente Suleiman
ha proseguito le consultazioni con i leader politico-confessionali per decidere se
accettare le dimissioni del premier Miqati, il governo del quale è al centro delle
proteste dell’opposizione per la presenza di rappresentanti filo-siriani. L'esercito
locale si è detto pronto a "fermare ogni tentativo di destabilizzazione del Paese
per garantire la pace”; massima l’allerta nelle aree più calde dello scontro. Sostegno
al presidente Suleiman sta giungendo dall’Onu e dall’intera comunità internazionale.
Un appello ad unità e solidarietà è arrivato dal presidente francese, Hollande, che
si è detto al fianco dei libanesi.
Ma sulla situazione nel Paese dei Cedri
Massimiliano Menichetti ha raccolto una testimonianza da Beirut, che lasciamo
anonima per motivi di sicurezza: R. – Abbiamo il
timore che quanto sta accadendo sia una scintilla di una ripresa delle ostilità. Già
viviamo la violenza del Paese a noi vicino: vengono qui e una volta entrati… E' come
nella prima guerra del 1975, dove erano loro i potenti. La situazione è così oscura… D.
- Durante la visita del Papa, si era avuta l’immagine di un Libano tranquillo? R.
- Si pensava che si fosse risolto questo odio, questa folli. Invece, quando ci siamo
trovati a vivere questi ultimi fatti, ci è tornato alla mente tutto il nostro passato.
Ora, non si sa proprio come sarà il domani. Si butta fuoco sul fuoco, come ieri dopo
i funerali, la violenza dei giovani... D. - Tensioni e violenze, quindi, nel giorno
dei funerali del capo dell’intelligence della Polizia: un assassinio prevedibile in
qualche modo? Ve lo aspettavate? R. - No, no. Nessuno se lo aspettava. E adesso
si capisce che è stata una cosa meditata e preparata e questo perché, da come sono
state messe le macchine, Wissam al Hassan non poteva sfuggire alla morte. D - Tra
le vittime anche civili e in particolare lei mi raccontava, una donna… R. - Questa
mattina mi hanno detto: sai quella mamma che è morta? Era vedova, lavorava in un bar
e in quel momento stava tornando a casa per portare qualcosa ai bambini. Mentre tornava
è rimasta investita dall’esplosione, per la strada, e i suoi bambini rientrando non
hanno trovato più nessuno … E’ possibile che, ancora oggi, in questo secolo, ci siano
cuori che non battono più per l’altro? C’è troppa ingiustizia, troppo egoismo. E’
sempre la povera gente che subisce: i grandi vanno avanti lo stesso. D. - Che
cosa vuole dire ai nostri microfoni? R. - Io vorrei dire a tutti, specialmente
ai grandi, di pensare a chi soffre, di pensare a chi è rimasto senza papà e senza
mamma. Chi pensa ora a questi bambini? Il problema principale sembra essere quello
della potenza terrena, dell’essere il più forte, il più grande… Chi è davvero grande
deve guardare, invece, chi soffre: che guardino chi non ha il pane. Davanti a Dio
devono avere una coscienza. Prima di tutto, non dimentichiamo Dio, perché Dio è misericordia,
Dio è perdono, Dio è Padre di tutti. L’uomo è diventato un oggetto: mi servi, stai
con me; non mi servi, allora ti tolgo di mezzo. Ecco, vorrei suggerire una preghiera
a tutto il mondo, non solamente per la fine dei combattimenti, ma per la pace del
cuore, affinché tutti sentiamo l’altro come fratello e un bambino come il nostro bambino.