Simposio al Camillianum: la "fantasia della carità" a servizio del malato. Intervista
col cardinale Comastri
Cento anni e li dimostra. L’Istituto delle Figlie di San Camillo ha festeggiato martedì
il centenario di presenza a Roma nell’Ospedale intitolato alla sua fondatrice: la
Beata Madre Giuseppina Vannini. Lo ha fatto inaugurando due nuovi reparti e, in tempi
di contenimento delle spese, soprattutto in campo sanitario è già questa una notizia.
A seguire un Simposio dal titolo eloquente: “La fantasia della carità: il malato al
centro dell’esperienza camilliana”. La giornata si è conclusa con la solenne celebrazione
eucaristica presieduta dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale del
Papa per lo Stato della Città del Vaticano e arciprete della Basilica Papale di San
Pietro. “La carità sia la vostra divisa”, ha detto il porporato durante l’omelia,
facendo proprio uno degli insegnamenti della Vannini. Davide Dionisi gli chiesto
come è possibile indossare questo abito in una società segnata da tanta indifferenza:
R. - Ancora
di più c’è bisogno di questo abito. Quando il cristianesimo ha fatto i primi passi
nel mondo, c’era tanta crudeltà quanta ce n’è oggi, c’era tanta indifferenza quanta
ce n’é oggi, perché la lotta tra l’egoismo e la dedizione appartiene alla storia del
mondo. Eppure, i cristiani, fin dall’inizio, si sono chinati sugli ammalati con immenso
rispetto e con immenso affetto, perché una parola di Gesù ci ha dato una consegna
precisa: “Io ero ammalato”. L’ammalato è una delle presenze privilegiate di Gesù nel
mondo, nella società, e noi cristiani lo sappiamo. Per questo, all’interno del cristianesimo
sono nate verso gli ammalati tante opere di assistenza e di attenzione. Gli stessi
ospedali sono invenzione cattolica, sono nati in Chiesa cattolica. L’organizzazione
puntuale, programmata del malato, del sofferente, è un frutto del cattolicesimo. Basti
pensare a San Giovanni di Dio, basti pensare a San Camillo de Lellis. Questo è l’ospedale.
L’ospedale è nato in casa cattolica e oggi continua evidentemente la nostra attenzione
verso gli ammalati e non finirà mai, fino al ritorno di Gesù.
D. - San Camillo
ci ha insegnato che lo strumento diagnostico più prezioso per la medicina è l’ammalato.
Può essere ancora così?
R. – Certamente, lo strumento diagnostico è l’ammalato
amato, l’ammalato ritenuto prezioso e non un peso, l’ammalato ritenuto un dono e non
un fastidio. Quando l’ammalato si guarda così e si ascolta così, si può fare una diagnosi,
altrimenti si può curare il corpo, ma non si cura la persona.
San Camillo ci
ha insegnato che lo strumento diagnostico più prezioso per la medicina è l’ammalato.
Può essere ancora così? Con la superiora generale delle Figlie di San Camillo, Madre
Laura Biondo, abbiamo affrontato il tema del giorno, la "fantasia della carità".
Le abbiamo chiesto come sia possibile essere creativi lungo le corsie di un ospedale,
soprattutto quando si è in stretto contatto con chi soffre:
R. – Ci deve essere
una carica veramente forte di amore per il malato, meglio di carità. Se c’è questa,
allora tutto si può inventare per rendere la degenza di un malato più serena, più
umana. E allora sì che come San Camillo, o meglio come il Buon samaritano del Vangelo,
noi veramente possiamo inginocchiarci davanti a lui per dirgli il nostro affetto e
per dirgli che lui per noi è molto importante, perché ci permette di esprimere quella
compassione che il Buon samaritano ha avuto per il malcapitato.