Sierra Leone: tra un mese elezioni generali in un clima disteso
Si è aperta, in Sierra Leone, la campagna elettorale per le elezioni generali. Il
17 novembre prossimo, gli aventi diritto al voto, tra gli oltre cinque milioni e mezzo
di abitanti, dovranno scegliere il presidente, il parlamento e le amministrazioni
locali. Ma qual è la situazione oggi nel Paese dell’Africa occidentale, che appena
pochi anni fa ha vissuto il dramma di una lunga e sanguinosa guerra civile? Giancarlo
La Vella ne ha parlato con il collega sierraleonese della redazione inglese per
l’Africa della Radio Vaticana, Festus Tarawalie:
R. - Il Paese
ha attraversato un periodo molto brutto, tra il 1990 ed il 2002, l’anno in cui è finita
la guerra civile. Penso che i sierraleonesi abbiano imparato molto da quella tragica
esperienza, sia pure in modo molto duro e molto penoso, ma oggi abbiamo la pace in
Sierra Leone e la gente è molto contenta di potere, per la terza volta dalla fine
della guerra, votare per i propri candidati e per il presidente. Oggi, il Paese gode
di pace e ci sono tante potenzialità per continuare su questa strada.
D. -
Non è rimasto nulla di quelle drammatiche frizioni, che provocarono la guerra civile?
R.
- A dire la verità, ci saranno sempre dei problemi, perché la situazione sociale è
ancora difficile: ci sono alcuni che non hanno ancora abbastanza da mangiare. Ma penso
che negli ultimi cinque anni l’incidenza della povertà si è dimezzata ed il governo
attuale ha anche lanciato un nuovo progetto per continuare su questa strada e per
far sì che questi problemi, che in passato hanno portato alla guerra civile, vengano
superati. Da segnalare, poi, che in queste elezioni ci sono anche gli ex ribelli Ruf
(Revolutionary United Front), che hanno il loro partito: questo per dire che il popolo
sierraleonese vuole essere unito, vuole andare a queste elezioni in pace per il bene
del Paese. Dopo le elezioni, qualunque sia il risultato, dobbiamo rimanere uniti,
dobbiamo rimanere fratelli e sorelle per il bene del Paese.
D. - Di fronte
alla crisi economica globale, che sta interessando tutto il mondo, come sta reagendo
la Sierra Leone e come riesce a promuovere le sue ricchezze naturali?
R. -
Molti dei suoi abitanti sono agricoltori. Dunque, è importante dar loro la possibilità
di poter coltivare, di poter vendere, di poter mangiare quello che producono, perché
se ad esempio il riso viene importato, costerà molto di più. Per le risorse minerarie,
abbiamo il giacimento di bauxite - tra i più grandi del mondo - e in questi ultimi
due anni abbiamo avuto degli investimenti di miliardi di dollari. Speriamo che, fra
poco, questo si trasformi in cose concrete per i sierraleonesi. Poi, per fortuna,
oggi non si combatte più per i diamanti. Il governo riesce a tassare chi viene a lavorare
e a sfruttare le miniere: dai proventi dei diamanti il governo sta realizzando importanti
progetti.
D. - In questa fase di pacificazione, qual è il ruolo della Chiesa
in Sierra Leone?
R. - Già durante la guerra il Consiglio nazionale interreligioso,
ma anche il Consiglio delle chiese della Sierra Leone, e tanti altri leader della
chiesa hanno cercato di promuovere il valore della pace, del dialogo, per cercare
di ricompattare il tessuto sociale. Non hanno mai smesso e anche adesso la Chiesa
cattolica - in occasione delle elezioni, ad esempio - ha pubblicato una lettera pastorale,
invitando tutti a rispettare il voto, a partecipare, ma in un modo corretto e leale
verso gli altri. Anche se abbiamo delle sensibilità diverse, dobbiamo sapere che questo
è per il bene del Paese e ognuno deve essere libero di fare la sua scelta. E’ fondamentale
che le elezioni vengano accettate e che si svolgano in un clima di fratellanza, di
amicizia, collaborazione e rispetto.