Il futuro della Colombia passa per Oslo. Al via i negoziati di pace tra il governo
di Bogotà e le Farc
Con due giorni di ritardo iniziano ufficialmente oggi a Oslo i negoziati tra il governo
colombiano e il leader delle forze armate rivoluzionarie. A ritardare l'avvio dei
colloqui, da una parte, la mancata partenza della delegazione governativa a causa
del maltempo, dall’altra ritardi nel rilascio del salvacondotto per i negoziatori
delle Farc, che avrebbero rischiato l’arresto in Norvegia, in seguito al mandato di
cattura internazionale nei loro confronti. Sull’importanza di questa trattativa, Salvatore
Sabatino ha intervistato Andrea Amato, autore del libro-inchiesta “L’impero
della cocaina” ed esperto di questioni latino-americane:
R. - E’ la
prima volta, dopo dieci anni, che le due parti decidono di incontrarsi e di sedersi
intorno ad un tavolo. Quindi, ha un valore simbolico molto forte. Anche i sondaggi
tra i cittadini colombiani danno ottimismo: il 75% dei colombiani crede che questi
colloqui porteranno finalmente alla pace. D. - C’è ottimismo, però, non è la prima
volta che le Farc si siedono al tavolo delle trattative. Tutte le altre volte i colloqui
si sono chiusi con un fallimento. Cosa cambia questa volta? R. - Questa volta può
cambiare qualcosa, perché le Farc hanno sempre meno appoggio dal loro tessuto sociale,
quindi dai “campesinos”. Sentono questa mancanza di substrato culturale in cui sono
nate e cresciute. Per lo più la guerra che sta facendo loro l’esercito da anni ha
portato i suoi frutti: sono stati decimati i capi e continua l’offensiva dell’esercito
colombiano. Quindi, diciamo che sono un po’ più alle “strette” rispetto a prima. D.
- Bisogna sottolineare che la Chiesa ha ricoperto un ruolo chiave nei contatti esplorativi
che hanno portato poi il governo e le Farc all’avvio dei colloqui di pace. Tutto è
avvenuto con grande discrezione… R. - Certo, la Colombia è un Paese fortemente
cattolico. Tutto il clero colombiano ha cercato di lavorare in questa direzione con
i guerriglieri marxisti e questo è stato riconosciuto anche dallo stesso presidente,
Juan Manuel Santos, che ha ringraziato il clero per questa opera di tessitura, soprattutto
nelle zone rurali, dove le Farc hanno il loro brodo culturale. D. - A proposito
del presidente Santos, fin dalla sua elezione nel 2010 ha detto di voler trovare una
soluzione negoziata al conflitto, puntando sul dialogo e non sulle armi. E’ una strada,
questa, oggettivamente percorribile? R. - E’ una strada percorribile. Santos doveva
assolutamente trovare un’altra via, essere distonico rispetto alla politica di Uribe,
che aveva fatto tutt’altro, perché aveva attaccato frontalmente le Farc, ma soprattutto
aveva aiutato i guerriglieri di destra, quelli delle Autodefensas Unidas de Colombia,
dando loro supporto logistico e usandole quasi come un secondo esercito per combattere
i marxisti. Quindi, Santos ha completamente cambiato politica dentro la Colombia e
cerca, attraverso gli incontri di pace, di trovare la via giusta. D. - Tra i punti
in agenda ci sono: lo sviluppo rurale, le garanzie per gli oppositori, la fine del
conflitto armato, la lotta al narcotraffico e i diritti delle vittime. Quali sono
le criticità? R. - Il punto più critico è sicuramente quello del narcotraffico.
Secondo il mio parere, assolutamente personale, tutte le rivendicazioni sul gruppo
rurale, che sono le rivendicazioni degli anni ’60, marxiste, e delle Farc, oggi in
realtà sono una “foglia di fico”. Il grandissimo potere delle Farc oggi è quello del
controllo del territorio e quindi del traffico di cocaina. Ed è su questo punto che,
secondo me, ad un certo punto salteranno questi incontri. Ricordiamo che questi incontri
sono stati fissati prima delle elezioni in Venezuela. Oggi con la rielezione di Chavez,
secondo me, le Farc si sentono un po’ più forti, perché hanno un alleato come Chavez
che da sempre li ha sostenuti e continua a sostenerli. D. - Non a caso il Venezuela
sarà uno dei Paesi osservatori della seconda tranche dei colloqui che avverrà a L’Avana… R.
- Esatto, insieme al Cile. Quindi, un Paese fortemente vicino alle Farc e un Paese
fortemente avversario delle Farc come il Cile. Gli incontri a L’Avana saranno probabilmente
quelli decisivi. La mia impressione personale è che purtroppo alla fine faranno saltare
il tavolo, proprio per queste ragioni, perché non è facile per le Farc rinunciare
alla partita del narcotraffico e a tutta quella montagna di soldi. D. - Si ha anche
l’impressione che su questa questione si fronteggino un po’ le due anime dell’America
Latina: quella più vicina agli Stati Uniti e quella invece che viene capeggiata dal
Venezuela, da Cuba… R. - Si sono già creati incidenti diplomatici, perché all’interno
della delegazione delle Farc sono stati inseriti dei personaggi condannati in contumacia
negli Stati Uniti per decenni e decenni di prigione come Simon Trinidad, ovvero Juvenal
Ovidio Ricardo Palmera, che ha sequestrato dei responsabili del Pentagono nel 2003.
Quindi, mettere all’interno della delegazione personaggi di questo tipo è sicuramente
una provocazione verso gli Usa, i “gringos” come li chiamano loro. D. - Si parla
anche della possibilità che le Farc si trasformino in un partito politico, ipotesi
mai presa in considerazione nei precedenti colloqui. Questo che conseguenze avrebbe
sugli equilibri interni del Paese? R. - Se realmente fosse vero, sarebbe un problema,
più che a destra, a sinistra. Il partito democratico colombiano potrebbe soffrire
maggiormente, più della destra, l’arrivo di un partito alla sua sinistra. Mi sembra,
però, ancora un’ipotesi molto remota.