2012-10-16 16:02:10

16 ottobre '43: Roma ricorda la deportazione degli ebrei. Le parole di uno scampato


Si sono aperte ieri mattina, davanti al Tempio Maggiore di Roma, con la deposizione di una corona d’alloro, le cerimonie in ricordo della razzia dal Portico d'Ottavia del 16 ottobre 1943, a seguito della quale oltre mille ebrei furono strappati dalle proprie case e deportati ad Auschwitz. Tanti gli appuntamenti in programma che sono culminati in una marcia silenziosa a ritroso lungo quel percorso dal quale in pochi fecero ritorno. Presente alla cerimonia anche il premier italiano, Mario Monti. Il servizio di Gabriella Ceraso:RealAudioMP3

Storici, studiosi, testimoni, autorità: in tanti a Roma oggi vogliono ricordare quella immensa ferita storica che fu la grande razzia del vecchio ghetto, iniziata alle 5.30 del mattino con 100 tedeschi armati di mitra a circondare il quartiere e a invadere le case di persone innocenti già isolate e private di molti loro diritti dalla promulgazione delle leggi razziali. Quando la maggior parte dell’ebraismo europeo era già stato eliminato si arrivò a colpire Roma. Il perché dallo storico Marcello Pezzetti:

“Sembrava che la guerra fosse quasi finita. In quel momento, si è deciso di colpire la più antica comunità ebraica del mondo della diaspora. Cuore storico dell’ebraismo, in una nazione che aveva una tradizione anche cristiana, era la città della Chiesa, la città del Vaticano, e gli stessi ebrei erano convinti che in questa città non sarebbe successo. Oggi, finalmente comincia a essere chiara la coscienza che è qualcosa che ha colpito tutti”.

Quella mattina tante famiglie furono tratte fuori a forza dalle loro case e dal Portico d’Ottavia furono condotte al Collegio militare di Trastevere, con destinazione i treni che portavano ad Auschwitz. Erano oltre mille, sono rimasti in pochi. Lello di Segni è tra questi:

R. - Mio padre aveva fatto la guerra del ’15-’18 e mi disse: "Speriamo bene, che non succeda niente, ma io ho una paura matta". E aveva indovinato. Infatti, quella mattina hanno bussato alla porta e c’erano i tedeschi. Mio padre ci ha detto: "State buoni, cercate di stare calmi e fate tutto quello che dicono". I tedeschi mi dicevano di prendere quello, quell’altro… Io l’ho fatto e le posso dire che tutto quello che ho fatto è servito almeno per fare un viaggio leggermente più tranquillo. Mi hanno portato direttamente ad Auschwitz.

D. – In quanti della sua famiglia siete arrivati ad Auschwitz?

R. – Tutti: io, mio padre, mia madre, due fratelli e una sorella. Tanto è vero che ho salutato amichevolmente mia madre e le ho detto: "Tanto dopo ci vediamo, vedrai che ci metteranno in campo, io e papà lavoreremo, e voi aspetterete alla sera che rientriamo".

D. – In quanti siete tornati?

R. – Io e mio padre.

D. – Quanti anni aveva allora?

R. – 15 anni.

Dopo tanta brutalità, a 69 anni di distanza oggi durante le celebrazioni emerge un aspetto positivo. Lo sottolinea Marcello Pezzetti:

“E' la presa di coscienza che stanno avendo i giovani, gli studenti. Ho visto che vogliono ascoltare, vogliono sentire, vogliono sapere”.


Ultimo aggiornamento: 17 ottobre







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