Giornata delle donne rurali: fondamentali nella lotta alla fame ma escluse e discriminate
Ieri è stata celebrata la Giornata Mondiale della Donna Rurale, stabilita a seguito
della quarta Conferenza mondiale dell’Onu sulla donna, che si svolse a Pechino nel
1995. La giornata è stata un omaggio a quelle donne che contribuiscono allo sviluppo
delle economie rurali. Nei Paesi in via di sviluppo rappresentano il 70% della forza
lavoro nell’agricoltura, pur non ricevendone alcun merito. Le donne rurali sono necessarie
per la lotta alla fame, alla malnutrizione e alla povertà. Eppure proprio a loro è
impedito un equo accesso a opportunità e risorse. Queste donne sono ancora oggi discriminate,
a livello giuridico e nella vita quotidiana. Solo alcuni esempi: in Cambogia quasi
la metà delle donne delle aree agricole sono analfabete. In Burkina Faso la percentuale
aumenta. Nelle zone agricole solo il 39% delle bambine ha accesso all’istruzione.
Francesca Sabatinelli ha intervistato Luca De Filicaia, coordinatore
del settore sicurezza alimentare in Palestina per conto del Gruppo di Volontariato
Civile (Gvc):
R. - Il nostro
progetto riguarda la sicurezza alimentare. Si colloca in due villaggi, nel Governatorato
di Nablus e nel Governatorato di Qalqilya. È un progetto che ha come obiettivo finale
quello di incrementare la produttività e, di conseguenza, il reddito derivante dalla
produzione dell’olio d’oliva nelle due aree di riferimento. Questo viene fatto attraverso
l’utilizzo di acque reflue trattate installando un sistema irriguo, così si incrementa
la produzione delle olive e quindi di conseguenza anche quello dell’olio di oliva.
Nel processo decisionale, e per quanto riguarda la gestione dell’uliveto, cerchiamo
di coinvolgere il più possibile anche le donne che si trovano nei due villaggi. Al
momento abbiamo selezionato 75 famiglie di olivicoltori e, nell’ambito della formazione
che facciamo, coinvolgiamo anche tutte le donne delle 75 famiglie.
D. – Quanto
è importante investire sulle donne rurali? Ritiene, a livello globale, che sia necessario
un empowerment, un coinvolgimento di queste donne?
R. - Sicuramente sì. Soprattutto
perché le donne sono spesso direttamente coinvolte nella gestione agricola: sono quelle
che vanno a lavorare la terra, sono quelle che, in questo caso ad esempio, raccolgono
le olive, o in altri casi prendono parte alla raccolta agricola. Il loro coinvolgimento
si ferma soltanto a questa fase, mentre in realtà un coinvolgimento delle donne,
appunto un’azione di empowerment, dovrebbe essere fatto in ambito decisionale, porterebbe
sicuramente beneficio alle famiglie e allo sviluppo locale.
D. - Cosa dovrebbe
fare la comunità internazionale in questa direzione?
R. - Le agenzie dovrebbero
sicuramente prestare più attenzione quando si tratta di identificare i beneficiari
diretti, o i cosiddetti target groups. Le azioni dovrebbero sempre cercare di porre
attenzione all’inclusione di una componente femminile. È una cosa molto semplice da
fare e che andrebbe fatta.
D. - In Palestina le donne rurali vivono discriminazioni?
R.
- Nella pratica direi di sì. Sono sicuramente discriminate, perché la loro attività
femminile è richiesta soltanto in determinati momenti.
D. - Una grandissima
fetta degli analfabeti nel mondo, si parla addirittura dei due terzi, sono donne che
vivono nelle aree rurali. Questo fenomeno esiste anche in Palestina?
R. - In
Palestina la situazione è un po’ particolare, nel senso che c’è ancora un livello
di analfabetismo ancora elevato tra le persone di mezza età, che sono le cosiddette
donne rurali, cioè quelle che poi vanno realmente a lavorare nei campi, che ancora
fanno parte di tutto il processo agricolo. Mentre tra le giovani generazioni, in realtà,
questo problema è minore, c’è un tasso di alfabetizzazione più elevato, che è anche
probabilmente fattore di emigrazione di questi ultimi. Questo riguarda un po’ tutti
i giovani, non soltanto le donne. Si cerca di ‘educarsi’ il più possibile in modo
tale poi da poter lasciare il Paese e andare a lavorare e vivere all’estero, perché
qui le condizioni sono ormai abbastanza proibitive in termini economici. I cristiani
in particolare, sono quelli che alla fine abbandonano più spesso il Paese.