Mali. L'Onu pronta ad intervenire per risolvere la spaccatura tra Nord e Sud
In Mali sale la tensione. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato
una risoluzione che concede ai Paesi dell'Africa occidentale 45 giorni di tempo per
definire un piano di intervento militare. Il Paese continua ad essere diviso in due,
da una parte il Nord in mano agli islamisti di Ansar al Dine, legati ad al Qaeda del
Maghreb Islamico, e ai Tuareg; dall’altra il Sud controllato da un governo di transizione.
Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Le Nazioni
Unite scendono in campo per tentare di sciogliere il nodo che stritola il Mali, diviso
tra un Nord in mano ai ribelli ed un Sud in transizione politica, dopo il golpe dei
militari a marzo. Il Consiglio di Sicurezza ha adottato un documento nel quale si
sostiene la pianificazione per l'invio di una forza internazionale di stabilizzazione,
come chiesto ufficialmente, in una lettera inviata dal presidente del Mali, Dioncounda
Traoré, alla fine di settembre.
Assegnati al segretario generale dell'Onu,
Ban Ki-moon, 45 giorni di tempo per consultarsi con l'Unione Africana, l'Ecowas e
le autorità maliane, per presentare una relazione dettagliata su come la Forza dovrà
essere creata, finanziata, e distribuita. Poi ci sarà un secondo passaggio che seguirà
alle raccomandazioni del segretario generale Onu, ovvero l’approvazione di una seconda
risoluzione per autorizzare l'invio delle truppe.
I Quindici sottolineano
la necessità che si avvii un processo politico nel Paese, accelerando la transizione
dell'esecutivo, rinnovata la richiesta ai militanti affinché taglino qualsiasi legame
con i gruppi affiliati ad al Qaeda del Maghreb islamico. Pronte anche una serie di
misure restrittive, come l’adozione di sanzioni mirate. Ribadito l’obbligo, per i
ribelli, di porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani, tra cui attacchi contro
la popolazione, violenze sessuali e reclutamento di bambini soldato.
L’Ecowas
si è detta pronta all’invio di circa 3mila soldati per aiutare l'esercito nazionale
a liberare le zone del Nord. Tuttavia l’Onu precisa che un'operazione militare ha
bisogno di un'attenta pianificazione, poiché un intervento mal gestito potrebbe aggravare
la già drammatica situazione degli sfollati e di milioni di persone nel Paese. Sulla
decisione del Consiglio di Sicurezza abbiamo raccolto l’analisi di Marco Massoni
direttore ricerca per l’Africa del Centro Militare di Studi Strategici e docente
di relazioni internazionali presso l’American University of Rome:
R. – E’ una
decisione positiva, perché significa che la Comunità internazionale sta prendendo
sul serio quanto - da anni ormai – sta avvenendo nel Sahel e quanto è successo più
recentemente in Mali. Una Risoluzione che, comunque, avrà bisogno di ulteriori approfondimenti
e poi anche di una seconda risoluzione, con un mandato chiaro, circoscritto e delimitato
per quella che sarà un’operazione molto probabilmente solo dell'Ecowas, cioè la Comunità
economica degli Stati dell’Africa Occidentale, che interverranno, anche forti della
grande esperienza che negli ultimi 20 anni hanno portato avanti nella positiva risoluzione
di conflitti come peacekeepers in altri Paesi membri.
D. – Questo intervento
si cala in una situazione molto complessa: da una parte un governo in transizione,
dopo il golpe dei militari a marzo; dall’altra, i tuareg e gli estremisti islamici…
R.
– Il colpo di Stato è intervenuto in un momento estremamente delicato ed ha non solo
indebolito il contrasto per l’avanza dei tuareg e degli islamisti. Ha anche contribuito
a mantenere il Paese in una situazione di stallo che non ha consentito alcuno sviluppo.
Il problema fondamentale è che il Sahel, da anni, è una zona particolarmente fragile
e delicata, e per troppo tempo si è sottovalutato il problema.
D. – Dopo questo
documento dei Quindici ci sarà un intervento a breve?
R. – Temo che ci sia
la volontà di alcuni attori di mantenere la situazione ancora, per alcuni mesi, in
stallo. Probabilmente c’è interesse ad attendere, a vedere cosa accadrà in Somalia,
dove la situazione sta migliorando – per fortuna! – e cosa accadrà in Siria.
D.
– In che senso la crisi siriana ricade su quella maliana?
R. – Sappiamo che
in questi ultimi anni c’è stato uno spostamento della conflittualità mediorientale
fino all’Africa Occidentale e probabilmente si è sviluppato un secondo polo, in cui
anche al Qaeda – al Qaeda del Maghreb islamico in generale – sta traendo giovamento.
Questo comporta una sorta di nuova linea di fronte fra occidentali e islamisti, in
un territorio che, fino a pochi anni fa, non interessava a nessuno.
D. – Quindi
in termini di tempo quanto ci vorrà prima che le forze internazionali entrino in campo?
R.
– Credo che non si muoverà nulla fino alla fine dell’anno, anche perché la forza di
intervento rapido della Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale è realizzabile
nel giro di trenta giorni: questa cosa sarebbe potuta avvenire già ad aprile e maggio
scorso, ma non si è voluta fare perché probabilmente ci sono troppi interessi di tipo
globale. Motivo, questo, per cui anche attori molto lontani dallo stesso Mali devono
valutare se è opportuno, adesso o più tardi, intervenire. Una cosa è certa: più si
lascia che la situazione si stabilizzi e peggio è! E questo perché in Mali confluiscono
– sia da un punto di vista logistico, sia da un punto di vista di interesse – tutta
una serie di fattori, che lo faranno conclamare come un nuovo-punto di scontro.
D.
- In questo scenario l'ex presidente della Commissione Europea ed ex premier italiano,
Romano Prodi, nominato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, come inviato
speciale per il Sahel, ha annunciato che mercoledì prossimo si recherà nella capitale
maliana Bamako per colloqui. Cosa significa questo incarico?
R. - Questo incarico
significa che si vuole arrivare ad una soluzione negoziata, cosa affatto scontata,
e che per certi aspetti potrebbe anche contraddire l’esigenza di uno scontro armato.