Pakistan. Fuori pericolo la piccola Malala ferita dai talebani
E’ fuori pericolo, ma resta in terapia intensiva Malala Yousafzai, la ragazzina pakistana
di 14 anni, attivista dei diritti umani, ferita martedì, a Mingora, nella regione
di Swat, con due colpi di pistola da un commando di talebani, mentre usciva da scuola.
La piccola è stata trasferita in un ospedale di Rawalpindi. Netta la condanna della
Comunità internazionale. Il governo della provincia pakistana di Khyber-Pakhtunkhwa,
dove è stato sferrato l'agguato contro la piccola, ha annunciato una ricompensa da
10 milioni di rupie circa 81mila euro - per chi collaborerà nell'identificazione dei
responsabili. Massimiliano Menichetti:
Sono ore decisive
per capire se uno dei due proiettili, sparati dalla furia talebana, martedì, che ha
colpito alla testa Malala Yousafzai, possa averle causato dei danni al cervello. All’età
di 11 anni, Malala, ha aperto un blog denunciando la “barbarie” talebana, ed ora sono
migliaia in tutto il mondo a pregare, a sperare che la piccola attivista si svegli
da questo orrendo incubo. I medici ribadiscono che è fuori pericolo di morte ed oggi
è stata trasportata, in terapia intensiva, a Rawalpindi, dopo aver subito un’operazione
di oltre tre ore in un ospedale, altamente specializzato, di Peshawar.
Le autorità
pakistane sarebbero già sulle tracce degli attentatori. Il capo di Stato Maggiore
dell'Esercito, generale Ashfaq Parvez Kayani, ha ribadito che “con l'attacco a Malala
i terroristi hanno dimostrato di non aver alcun rispetto per la vita, che lei non
è solo una persona, ma un'icona di coraggio e speranza”. “Ci rifiutiamo di piegarci
di fronte al terrorismo”, ha sottolineato.
Molte le manifestazioni in Pakistan
contro i talebani, l’ultima ieri sera a Lahore, nella parte orientale del Paese, dove
sono stati intonati slogan contro i terroristi. Unanime la condanna della comunità
internazionale, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto “indignato”.
Dura
anche la posizione espressa dall’Unicef che chiede tutele per tutti i bambini. Ne
abbiamo parlato con Andrea Iacomini portavoce di Unicef Italia:
R. – L’Unicef
condanna fermamente l’attentato a Malala, abbiamo esortato tutte le parti affinché
si rispettino i diritti di tutti i bambini. Proprio nel mese di dicembre 2011 – e
mi preme ricordarlo – Malala è stata premiata dal governo pachistano con il Premio
nazionale per la pace. E una bambina coraggiosa, una bambina che apre un blog in cui
parla di diritti, anche quello all’istruzione. Non dimentichiamo che in Pakistan ci
sono 20 milioni di bambini che sono fuori dal sistema scolastico e anche con l’istruzione
e con la conoscenza si sconfiggono piaghe come quelle che portano a questi atti orribili.
D. – Oggi la prima Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze,
indetta dall’Onu…
R. – Questa Giornata internazionale delle bambine e delle
ragazze l’abbiamo dedicata proprio ai matrimoni precoci, di cui si hanno dati piuttosto
sconcertanti: in Pakistan abbiamo 70 milioni di giovani donne, tra i 20 e i 24 anni,
quindi una su tre, che si sono sposate prima dei 18 anni; 23 milioni di queste addirittura
prima di aver compiuto i 15. A livello mondiale ci sono 400 milioni di donne, di età
compresa tra i 20 e i 49 anni, quindi oltre il 40 per cento del totale, si sono sposate
bambine. Non dimentichiamo poi che questi matrimoni precoci – per riagganciarci al
discorso di Malala e dell’istruzione – spesso portano proprio alla fine dell’istruzione
per le ragazze. Nelle comunità, dove questa pratica è molto diffusa, sposare una bimba
fa parte di una serie di norme sociali ed atteggiamenti che poi, di fatto, si abbattono
sulle scelte e sui diritti umani. Inoltre le bambine tra i 10 e i 14 anni di età hanno
cinque volte più probabilità, rispetto alle donne tra i 20 e i 24 anni, di morire
durante la gravidanza e il parto.
D. – Come si fa a cambiare Paesi dove i
matrimoni combinati sono radicati profondamente nella cultura?
R. – Esperienze
in contesti come, per esempio, in Bangladesh o il Burkina Faso, ma anche in Etiopia
o in Niger, hanno dimostrato come la combinazione di misure legali e il supporto alle
comunità produce risultati positivi. La possibilità di fornire delle alternative come
la scuola, il discutere apertamente di questo problema nelle comunità tribali, il
raccontare quali sono le problematiche legate a queste decisioni porta dei cambiamenti,
produce risultati positivi. Noi ne abbiamo evidenza e quindi riteniamo che questa
sia la strada giusta da perseguire.