Il Papa apre l’Anno della fede: la Chiesa riannunci Cristo nei deserti spirituali
del mondo contemporaneo
La “cosa più importante” sia quella di ravvivare in tutta la Chiesa “quell’anelito
a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo” appoggiandosi sulla base concreta dei
documenti conciliari. Così il Papa che, in coincidenza con il 50.mo dell’inizio del
Concilio Vaticano II, ha presieduto la Santa Messa per l'apertura dell’Anno della
fede. Quattrocento i concelebranti - fra cui 8 patriarchi delle Chiese orientali,
80 cardinali e 15 padri conciliari - che in una suggestiva processione sono saliti
sul sagrato della Basilica di fronte ad una Piazza San Pietro affollata da circa 20mila
persone. Alla fine della celebrazione eucaristica il Papa ha riconsegnato al Popolo
di Dio i 7 Messaggi del Concilio e il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il servizio
di Debora Donnini:
“Con grande
gioia oggi, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio
all’Anno della fede”.
In un’atmosfera solenne e gioiosa Benedetto XVI apre
l’Anno della fede. E’ Cristo il centro della fede, sottolinea nell’omelia. Dio è il
principale soggetto dell’evangelizzazione del mondo mediante Gesù Cristo che ha voluto
trasmettere alla Chiesa la propria missione e continua a farlo infondendo lo Spirito
Santo nei discepoli sino alla fine dei tempi. “La Chiesa - ricorda – è lo strumento
primo e necessario di questa opera di Cristo”. L’Anno della fede che oggi è stato
inaugurato, sottolinea poi, è legato a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi
50 anni: "dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale
indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale
il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all’intera umanità Gesù Cristo quale unico
Salvatore, ieri, oggi e sempre”. Il Papa rileva, quindi, la profonda convergenza proprio
fra Paolo VI e Giovanni Paolo II nel porre l’accento su Cristo quale centro del cosmo
e della storia e sull’ansia apostolica di annunciarlo e ribadisce il senso del Concilio
Vaticano II ricordando le parole dello stesso Giovanni XXIII all’inaugurazione dell’assise
conciliare da lui convocata: lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione
di questo o quel tema della dottrina ma far sì che “questa dottrina certa e immutabile,
che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda
alle esigenze del nostro tempo”. E Benedetto XVI ricorda di aver sperimentato lui
stesso che durante il Concilio vi era una tensione commovente verso il compito di
far risplendere “la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla
alle esigenze del presente né tenerla legata al passato”:
“Perciò ritengo
che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale,
sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare
Cristo all’uomo contemporaneo”.
Ma – avverte il Papa - affinché questa
spinta interiore alla nuova evangelizzazione “non pecchi di confusione, occorre che
essa si appoggi ad una base concreta e precisa”, che sono, appunto, i documenti del
Concilio Vaticano II. Per questo ricorda di aver insistito sulla necessità di ritornare
ai testi: “la vera eredità del Concilio si trova in essi” afferma. Il riferimento
a questi “mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in
avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità”. Il Concilio, rileva ancora,
“non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede” ma si è preoccupato di fare
in modo che la medesima fede continui ad essere “una fede viva in un mondo in cambiamento”:
“I
Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono
con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro
fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno
accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi
stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro
verità”.
“Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova
evangelizzazione – afferma - non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno,
ancor più che 50 anni fa!”. E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta
dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa
di creare un Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione rientra in questa
prospettiva. Benedetto XVI evidenzia, poi, che in questi decenni è avanzata una “desertificazione”
spirituale, si è diffuso il vuoto, ma è proprio a partire dall’esperienza di deserto
che si può riscoprire la gioia di credere:
“E nel deserto c’è bisogno soprattutto
di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa
e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio
che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una
vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada”.
La prima Lettura
della Messa di oggi parla proprio della sapienza del viaggiatore: il viaggiatore sapiente
ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli, come avviene – ricorda
il Pontefice – ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che “non
a caso sono tornate in auge in questi anni”. E forse, si chiede il Papa, tante persone
sentono il bisogno di fare questi cammini perché qui trovano il senso del nostro essere
mondo:
“Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un
pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò
che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come
dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e
la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa
espressione”.
Come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato
20 anni or sono, ricorda ancora Benedetto XVI che conclude chiedendo che la Vergine
Maria “brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione”.
All’inizio
dell’omelia il Papa rileva che questa Celebrazione è stata arricchita di alcuni segni
specifici come la processione iniziale, che ha richiamato quella dei Padri conciliari
nella Basilica; l’intronizzazione dell’Evangeliario, copia di quello utilizzato durante
il Concilio, e ancora la consegna dei Messaggi finali del Concilio e del Catechismo
della Chiesa Cattolica. Segni, sottolinea, che vogliono far entrare nel movimento
spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per portarlo avanti nel suo vero
senso: la fede in Cristo, animata dalla spinta a comunicarlo a tutti gli uomini nel
pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia.
Ad intervenire anche il
Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I che, citando il Decreto conciliare
Unitatis Redintegratio, ha affermato: “ci uniamo nella «speranza che venga
rimossa la barriera tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, e che si abbia
finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù,
il quale di entrambe farà una cosa sola» (Unitatis Redintegratio §18). “Diamo inizio
a preghiere per la pace e la salute dei nostri fratelli e sorelle cristiani che vivono
in Medio Oriente”, afferma poi, auspicando che “il desiderio di armonia che dichiariamo
qui” sia “modello per il nostro mondo” e che “possiamo lavorare insieme per superare
il dolore dei popoli”.