“Un primo passo positivo, ma servono accordi internazionali”. Così mons. Domenico
Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, dopo la scarcerazione dei marinai italiani,
della sua diocesi, accusati in Libia di sconfinamento. Gli uomini stavano lavorando,
domenica, in acque internazionali, considerate, però, da Tripoli di propria competenza.
Fermate nel porto di Bengasi le imbarcazioni “Daniela L.” e “Giulia PG”, i marittimi
dovranno comunque aspettare la definizione del procedimento, mentre sono in corso
le trattative per il rilascio dei natanti. Ieri, è stata pagata anche un'ammenda di
14 mila dinari. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento dello stesso,
mons Mogavero:
R. - Questa
notizia è veramente buona, è un primo passo verso una soluzione positiva dell’intera
vicenda. E poi lo è perché la condizione di libertà, pur se sotto sequestro, nei due
pescherecci è sicuramente preferibile a quella della detenzione.
D. - Lei ha
parlato con il console italiano a Bengasi che sta seguendo l’intera vicenda: qual
è la situazione?
R. - E’ abbastanza buona, nel senso che gli equipaggi hanno
accolto con comprensibile soddisfazione la fine della detenzione e aspettano adesso
con una certa impazienza la conclusione della vicenda.
D. - Ma per le informazioni
che abbiamo quanto tempo ci vorrà?
R. - Si sta trattando per completare l’iter
di liberazione delle navi e degli equipaggi. Io credo che una soluzione a breve non
possa essere ragionevolmente preventivata. Diciamo che noi auspichiamo che i tempi
non siano eccessivamente lunghi e che soprattutto non ci si perda in lungaggini di
tipo procedurale. Dobbiamo aspettarci come fatto naturale che le trattative abbiano
una certa durata. Questo tuttavia non implica un pregiudizio per il suo esito positivo.
Il nostro console a Bengasi è una persona molto esperta, perché ha trattato già diversi
casi, è una persona che ha un ottimo rapporto con le autorità libiche e quindi i nostri
pescatori, dal punto di vista dell’assistenza, sono in ottime mani. Noi li accompagniamo
con la preghiera perché il buon Dio possa aiutare a dare efficacia persuasiva a coloro
che stanno lavorando per loro, in modo che il tutto possa auspicabilmente essere risolto
in tempi relativamente brevi.
D. - Lei è a Palermo per la Conferenza episcopale
regionale. Rientrando incontrerà le famiglie dei marinai?
R. - Spero in serata,
o al più tardi domani, di poter contattare le famiglie per poter dire loro una parola
di confronto e invitarle alla pazienza, senza nervosismi vari, perché non gioverebbero
alla causa.
D. - Lei ha parlato di dispiacere riferendosi a queste situazioni
e di necessità di svolte operative: cosa serve?
R. - Si intavoli una trattativa
diplomatica che ci eviti nel futuro di dovere continuare a raccontare queste vicende
così tristi. Io mi sono permesso di commentare a caldo questa vicenda, dicendo che
non è il caso di aspettare che ci “scappi il morto” per potersi decidere dare un dinamismo
nuovo a questa che è una vicenda che ci prende tutti. Però, non vediamo come efficacemente
la cosa venga affrontata a livello politico e diplomatico.
D. - Bisogna fare
pressione affinché questo accada?
R. - Bisogna che ci sia un movimento di opinione
che faccia decidere il governo. Non sarà una trattativa facile, ce ne rendiamo perfettamente
conto. Né si potrà pensare di far valere il nostro punto di vista, che è quello del
diritto internazionale comune, che prevede 12 miglia per il riconoscimento delle acque
territoriali. Però, se non si mette mano alla trattativa, continuiamo a rimanere sempre
in questo stadio di empasse dal quale non possiamo uscire se non con episodi
di questo genere, che regolarmente si moltiplicano. In questo momento, ricordiamo
che abbiamo quattro barche sequestrate: due in Libia, una in Tunisia e l’altra ad
Alessandria d’Egitto. La faccenda si complica, perché si è riaperto il fronte di contenzioso
con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.