Nord Kivu: nessun risultato dal vertice dei Grandi Laghi
Si è concluso senza comunicato ufficiale il vertice dei Paesi dei Grandi Laghi tenutosi
lunedì fino a tarda sera a Kampala, ma con dichiarazioni sparse rilasciate dai presidenti
dell’Uganda, Yoweri Museveni, e del Rwanda, Paul Kagame. I rappresentanti della regione
dei Grandi Laghi - riferisce l'agenzia Misna - hanno “preso atto con rammarico” dell’avanzata
dei ribelli del Movimento del 23 marzo (M23) che hanno conquistato nuove località
nel territorio di Rutshuru, nella provincia del Nord-Kivu, e minacciano il capoluogo
di Goma. I capi di Stato e di governo, riferisce l’emittente congolese ‘Radio Okapi’,
hanno stabilito una scadenza di due settimane entro la quale l’apposito gruppo di
esperti militari, costituito il mese scorso, dovrà “attuare tutte le procedure operative
in vista del dispiegamento della Forza internazionale neutrale” lungo il confine tra
la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda. Quattro dei Paesi partecipanti avrebbero
dato la propria disponibilità a far conoscere “in tempi brevi la natura e il grado
di contribuzione per materializzare la forza in questione”. Al presidente in esercizio
della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi (Cirgl), il capo di Stato ugandese
Yoweri Museveni, è stato chiesto di “contattare altri Paesi africani pronti a fornire
un contributo” e di “proseguire il dialogo con le forze belligeranti”. Al termine
del vertice di Kampala, il quarto organizzato in meno di tre mesi, Kigali ha pubblicato
un comunicato a firma della presidenza ruandese nel quale sottolinea “i progressi
compiuti nella cooperazione tra Stati membri” e l’ “impegno rinnovato a raggiungere
una pace durevole basata su soluzioni proposte dalla stessa regione dei Grandi Laghi”,
ma senza fare alcun riferimento alla forza internazionale. Da settimane il presidente
congolese Joseph Kabila e il suo omologo ruandese Kagame si accusano reciprocamente
di sostenere gruppi ribelli attivi nell’est del Congo ostili da una parte a Kinshasa
e dall’altra a Kigali. Se il governo congolese auspica il coinvolgimento della locale
missione Onu (Monusco) nella futura Forza neutrale, quello ruandese ha già espresso
la sua “diffidenza” nei confronti dei caschi blu accusati di “essere parziali”. Rapporti
diffusi negli ultimi mesi da fonti congolesi e dalle Nazioni Unite hanno denunciato
il sostegno militare di Kigali al M23, movimento nato lo scorso aprile dalle ‘ceneri’
del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp, tutsi) – ex formazione ribelle
di Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) – i cui miliziani
erano stati integrati nell’esercito dopo gli accordi di pace firmati nel 2009 col
governo congolese. Il Rwanda ha formalmente respinto le accuse e, a sua volta, ha
puntato il dito contro Kinshasa per l’appoggio dato alle Forze democratiche di liberazione
del Rwanda (Fdlr), la ribellione hutu stabilita nell’est del Congo. La Società civile
del Nord-Kivu si aspettava dai capi di Stato e di governo dei Grandi Laghi “maggiore
attenzione al quadro umanitario in costante peggioramento”. Il conflitto riaccesosi
sei mesi fa, ha già causato almeno 390.000 sfollati interni e 60.000 rifugiati in
Uganda e Rwanda. “Liberate la popolazione del territorio di Rutshuru divenuta l’ostaggio
dei gruppi armati”: è il grido d’allarme lanciato ai Paesi della regione dopo la conquista
da parte del M23 di Nyamilima e Ishasha, località importanti da un punto di vista
strategico e commerciale, al confine con l’Uganda. “Temiamo futuri scontri tra i ribelli
del M23 e i loro ‘alleati’ Mayi Mayi di Shetani Muhima con le Fdlr Soki in lotta per
il controllo del territorio” ha avvertito il coordinamento della società civile della
provincia nord-orientale. (R.P.)