2012-10-09 13:38:58

Bce, Fmi e Banca Mondiale lanciano l’allarme crescita


“La crescita dell'economia mondiale si è indebolita e i rischi di un deterioramento restano alti, soprattutto nell'Eurozona”. A dirlo è il Fondo Monetario Internazionale in previsione delle assemblee annuali dell’organismo e della Banca Mondiale, a Tokyo. Dati confermati anche dalle dichiarazioni del presidente della Bce, Mario Draghi, all’Europarlamento, secondo il quale ''ci aspettiamo nel breve termine una debole attività economica e la ripresa in seguito sarà molto rallentata''. Eppure, i segnali che arrivano dai singoli governi dell’Eurozona sono di tutt’altro genere. Nelle scorse settimane, più volte si è parlato di una crisi alle battute finali. Da cosa deriva questa discordanza di vedute? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista Carlo Altomonte:RealAudioMP3

R. – In realtà, non ci sorprendono questi dati. Siamo tutti d’accordo che il 2012, e poi il 2013, ha visto non solo un rallentamento dell’eurozona, ma anche in prospettiva un rallentamento dell’economia americana, con l’aggiustamento fiscale che gli Stati Uniti dovranno affrontare, e anche dell’economia cinese, in quanto sta passando da un’economia di investimenti a un modello basato sui consumi interni: cambiamento che influirà in maniera negativa sui tassi di crescita. Combinando questi tre elementi, il quadro per la crescita mondiale è sicuramente negativo. Tuttavia, questo non vuol dire che ci saranno gravi problemi da un punto di vista finanziario, perché sappiamo che le banche centrali stanno dietro la crisi e quindi stanno aiutando molto la risoluzione della crisi.

D. – Questi dati quindi disegnano un quadro generale, ma senza lanciare allarmi preoccupanti…

R. – Fondamentalmente, da un mese sui mercati finanziari si dice: la crescita sarà negativa, ma le banche centrali stanno dietro all’economia, stanno sostenendo l’economia e quindi va bene così. E’ un po’ strano da sentire, ma diciamo che, in qualche misura, è la certificazione da parte delle agenzie internazionali di un qualcosa che i mercati hanno già da tempo metabolizzato.

D. – Anche perché bisogna dire che dietro le banche centrali comunque ci sono gli Stati…

R. – Sì, ci sono gli Stati ed evidentemente c’è la volontà dei governi - a livello globale, parlo – di evitare di cadere di nuovo in trappole perverse, di spirali negative, di crescita negativa, di debito che aumenta e di ulteriore austerità...

D. – Il nuovo Fondo Salva-Stati permanente, varato a Lussemburgo, può di fatto variare queste previsioni negative? Può cioè influire in qualche modo?

R. – Il Fondo Salva-Stati è un pezzo della strategia concertata a livello della Bce. Nel momento in cui Draghi ha deciso di intervenire, lo ha fatto nel quadro del Fondo Salva-Stati e per cui, diciamo, è già stato incamerato nelle aspettative dei mercati.

D. – Si è parlato tanto della crisi della Grecia, della crisi della Spagna, però probabilmente la situazione più critica è quella della Francia. Le misure messe in campo da Hollande sono sufficienti?

R. – No, perché non tagliano la spesa. Rischiano, quindi, di finire nella spirale “maggiori tasse, minore crescita, maggior debito” e che noi, purtroppo, abbiamo già visto.

D. – E’ un po’ quello che è successo anche in Grecia?

R. – Sì, in una certa misura sì. Anche se la Grecia ha un serio problema di raccolta fiscale: i greci non pagano le tasse e continuano a non pagare le tasse.

D. – Per quanto riguarda l’Italia, invece, la politica di rigore messa a punto da Monti sortirà qualche effetto positivo o la crisi continuerà a deprimere l’economia del Belpaese?

R. – Noi dobbiamo metterci l’anima in pace: abbiamo cinque anni di marcia nel deserto... Dobbiamo rifondare il funzionamento della macchina statale, attraverso tagli della spesa pubblica. Solo attraverso questa cosa possiamo diminuire la pressione fiscale.

D. – In una visione più globale della crisi, pesa più l’Europa - che pur tra mille difficoltà sta comunque agendo - o gli Stati Uniti che invece hanno assunto un ruolo attendista, forse in attesa proprio delle presidenziali di novembre?

R. – L’Europa è la prima che ha iniziato ad affrontare i suoi problemi strutturali nel contesto post-crisi e quindi è la prima che ha iniziato a soffrire, però sarà la prima ad uscirne fuori. Gli Stati Uniti devono ancora iniziare il loro processo di aggiustamento alla crisi.







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