"Salute senza barriere": al via il programma di integrazione sanitaria dei cittadini
stranieri detenuti
Promuovere l’integrazione sanitaria degli stranieri detenuti attraverso il pieno e
consapevole accesso al servizio sanitario nazionale, anche durante il periodo di detenzione.
Questo l’obiettivo del progetto “salute senza bandiere”, presentato al carcere romano
di Regina Coeli e frutto della collaborazione tra i Ministeri dell’Interno, della
Salute e della Giustizia, insieme all’Istituto nazionale per la promozione dalla salute
delle popolazioni migranti (Inmp) e al forum nazionale “salute in carcere”. C’era
per noi Michele Raviart:
Su oltre 66mila
detenuti in Italia, quasi 24mila sono stranieri. Si tratta del 36% della popolazione
carceraria totale, che proviene per la maggior parte da Marocco, Romania, Tunisia
e Albania. Un numero ingente, in carceri che contengono un terzo di persone in più
della capienza consentita. In questo contesto nasce quindi il progetto “salute senza
barriere”, per promuovere il diritto alla salute dei cittadini stranieri detenuti
in Italia. Un programma che riguarda principalmente la formazione del personale sanitario,
degli operatori penitenziari e dei detenuti. Concetta Mirisola, direttore dell’Inmp:
“Le
linee sulle quali ci siamo orientati, per la formazione, sono quelle in cui c’è una
problematica maggiore di salute: salute mentale, dermatologia, infettivologia, ma
anche medicina delle migrazioni. Riuscire a parlare con pazienti che hanno altre culture
e provengono da altri Paesi, è importante. E, di fatto, l’attività del nostro istituto
vede al centro la presenza del mediatore culturale, che è proprio l’interfaccia tra
medicina e aspetti di tipo sociale e culturale”.
In carcere è maggiore
il rischio di diffusione di malattie che sono sostanzialmente debellate tra la popolazione
“libera”, come la tubercolosi, mentre il tasso di contagio dell’Hiv e dell’epatite
C è tra le dieci e le venti volte superiore alla media. “Salute senza barriere” si
pone anche l’obiettivo di monitorare a riforma della sanità penitenziaria del 2008,
che prevede il trasferimento di competenze in materia dal Ministero della Giustizia
a quello della Salute. Una riforma poco conosciuta dagli stessi operatori del servizio
sanitario nazionale, come ci spiega il senatore Roberto Di Giovan Paolo, presidente
del Forum nazionale “salute in carcere”
“Non si conosce la riforma della
salute in carcere. E’ evidente, quindi, che la prima criticità è farla conoscere agli
operatori e ai direttori delle asl, i quali devono sapere che hanno tanti detenuti
in più e che tante sono le persone che dovranno curare in più per le visite specialistiche,
per i medicinali. Quindi, quantomeno dovranno fare una programmazione, sia economica
che organizzativa. Far uscire persone sane dal carcere, significa fare uscire persone
sane nella società.”
Il progetto conta su un finanziamento di 300mila euro
dal Fondo Europeo per l’integrazione dei Paesi Terzi, gestito dal Ministero degli
Interni, e promuove anche la conoscenza e la consapevolezza del diritto alla salute
dei detenuti. Ancora Concetta Mirisola:
“Molto spesso i detenuti
non sanno di potersi rivolgere ad una struttura del servizio sanitario nazionale.
E’ importante saperlo. La prevenzione si basa sulla capacità di poter andare a trovare
assistenza presso le strutture. Molti pazienti non hanno mai avuto un approccio con
il servizio sanitario nazionale”.
L’iniziativa durerà un anno e coinvolgerà
nove carceri, scelti tra quelli in cui il numero dei detenuti stranieri è maggiore,
come il carcere di Opera a Milano, dove i cittadini non italiani raggiungono il 60%
del totale.