Caritas Emilia: cresce povertà nelle zone terremotate, meno burocrazia per ripartire
La Caritas italiana ha chiuso sabato la fase di emergenza nelle zone dell’Emilia colpite
dal terremoto di maggio dando il via ai tradizionali gemellaggi con le altre diocesi
per restare al fianco della popolazione. Il direttore di Caritas, mons. Francesco
Soddu, dopo una riunione dei vescovi dell’area, ha però lanciato un appello alla burocrazia
a dare risposte più agili per aprire i centri comunitari polifunzionali, finanziati
con le offerte raccolte dalla colletta nazionale. Queste strutture sono fondamentali
per ridare speranza e normalità alla gente, ha detto donAndrea La Regina,
referente Caritas per l’Emilia Romagna. Cecilia Seppia lo ha intervistato:
R. – E’ chiaro
che noi siamo per il rispetto delle regole e comprendiamo anche che dal punto di vista
geologico, del sottosuolo, ci sono delle difficoltà. Però, noi chiediamo che per questi
centri di comunità - che sono uno strumento socio-pastorale e un luogo in cui la comunità
si riunisce per celebrare la Messa ma anche per svolgere tutte le proprie attività
comunitarie, - possano essere installati al più presto, evitando una eccessiva burocrazia
nell’ottenimento dei permessi. Anche perché si avvicina l’inverno ed è giusto che
noi in 60 giorni, dopo aver ricevuto il permesso, possiamo chiedere alle ditte di
poter installare queste strutture comunitarie.
D. – Nonostante i fondi stanziati
dal governo, che ormai hanno superato i nove miliardi di euro, e nonostante anche
i fondi europei, il terremoto ha comunque ulteriormente impoverito le fasce della
popolazione che già erano deboli. Voi avete registrato un aumento nella richiesta
per esempio di generi alimentari?
R. – E’ chiaro che i nostri centri di ascolto
si sono moltiplicati sul territorio: non c’è soltanto quello di Cesano, ma ci sono
centri parrocchiali di ascolto che captano proprio questi bisogni un po’ nascosti.
Infatti, se quella degli immigrati è una realtà a cui la Caritas ha sempre riservato
attenzione in Emilia e non solo, oggi abbiamo le famiglie di italiani che, o per avere
perso il lavoro a causa del terremoto, o per essere in cassa integrazione, hanno difficoltà
ad approvvigionarsi sia di viveri sia di vestiario. Il centro di ascolto e l’Osservatorio
della povertà, che è uno strumento tradizionale della Caritas, intercetta questi bisogni
e cerca di dare risposte di emergenza, ma anche risposte che diano dignità alle famiglie.
D.
– Ci sono segni di ricostruzione, di ripartenza; in questi giorni anche l’apertura
di un complesso scolastico, quello del Sacro Cuore. Però, fondamentalmente, i numeri
di questa tragedia rimangono importanti: ci sono ancora 2.700 persone sfollate, in
tenda …
R. – Certamente. I 2.700 sfollati, entro la fine del mese dovrebbero
abbandonare le tendopoli secondo la riforma della Protezione civile che richiede che
si ritorni alla normalità. Noi siamo d’accordo su questo ed è per questo che, in modo
sussidiario, cerchiamo di dare attenzione a queste famiglie che diversamente non ne
riceverebbero, sia per l’emergenza ma anche per un eventuale accesso al credito che
aiuterebbe sia nella ricostruzione ma anche nella possibilità di riprendere la vita
ordinaria.
D. – Don Andrea, lei è lì in prima linea, insieme con i volontari
alle delegazioni delle Chiese gemellate: la gente, provata da questi mesi di sofferenza,
come sta vivendo, come sta reagendo?
R. – La gente è provata. Vive con difficoltà
tutte le contraddizioni del tempo. Però, ha molta speranza e la presenza dei volontari
delle delegazioni sui territori aiuta in questa vicinanza e prossimità, e tutti i
segnali che vengono anche dalle istituzioni danno la sensazione alle persone di poter
riprendere, di poter ricostruire non solo le case, non solo le attività imprenditoriali,
non solo le chiese, ma ricostruire la comunità dall’interno.