Assisi: concluso Cortile dei Gentili. Interviste con il cardinale Ravasi e Enzo Bianchi
Si è chiusa sabato sera ad Assisi una nuova tappa del “Cortile dei Gentili” dedicata
al tema “Dio questo sconosciuto”. Per due intense giornate la struttura vaticana del
dicastero della Cultura, dedicata al dialogo con i non credenti, ha radunato nella
città di San Francesco 40 relatori per nove incontri su temi spirituali, culturali,
ma anche sociali ed economici. Il servizio del nostro inviato, Fabio Colagrande:
Dal Sacro Convento
alla Basilica superiore affrescata da Giotto, fino al vero e proprio cortile della
piazza inferiore di San Francesco, il "Cortile" di Assisi anima i luoghi simbolici
della città, rilanciando quel dialogo che va oltre la fede, per ritrovare l’antropologia
di base evocata già nel colloquio inaugurale tra il presidente italiano, Giorgio Napolitano,
e il cardinale Gianfranco Ravasi. Tutto esaurito, ieri mattina, per uno degli incontri
più seguiti dedicato a "Contemplazione e meditazione", con il filosofo Giulio Giorello
e il priore di Bose, Enzo Bianchi. “Contemplare – ha ricordato quest’ultimo - significa
sempre rivolgersi a ‘un altro': anche se questo ‘altro’ per i non credenti non ha
la maiuscola”. Gli ha fatto eco Giorello ribadendo l’idea di contemplazione come attività
che unisce gli uomini "intelligenti", disposti cioè a "intelligere" le ragioni degli
altri.
Nel pomeriggio in piazza si parla del "Grido dei poveri" e l’economista
Luigino Bruni sottolinea come la povertà nasca da un rapporto politico, relazionale,
malato. La diseguaglianza non dipende dal Pil pro-capite e se non c’è l’abbraccio
al lebbroso di Francesco, non bastano gli investimenti per combatterla. In chiusura,
incontrando il cardinale Ravasi in Basilica, il ministro dello Sviluppo economico,
Corrado Passera, rilancia l’appello all’unità per contrastare l’attuale fase di incertezza
già evocata da Napolitano. “Nessuno si può tirare indietro, perciò l’Italia uscirà
dalla crisi – ricorda il ministro – con un progetto che, come nel dopoguerra o negli
anni bui del terrorismo, riguardi l'intera società in tutti i suoi settori". Dal canto
suo, il cardinale, citando San Paolo, riconosce che la Chiesa dovrebbe contribuire
al risveglio etico, condannando a voce più alta lo spreco del denaro pubblico e l’evasione
fiscale. “Se non si pagano le tasse – ammonisce il cardinale Ravasi – non serve poi
fare beneficenza. Resta un peccato”.
A conclusione di questa nuova tappa del
"Cortile dei gentili", il nostro inviato ad Assisi, Fabio Colagrande, ha chiesto
di esprimere un'impressione e un bilancio al primo promotore di questa iniziativa,
il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:
R. - Da un lato,
il discorso ha mantenuto il livello alto della comunicazione, il livello alto dei
contenuti, il livello del quadro generale, della progettazione nella dimensione anche
etica e politica nella terminologia più alta, nella dimensione anche religiosa più
significativa. Dall’altra parte, però, c’è stata questa concretezza che è diventata
soprattutto partecipazione, adesione, anelito quasi dell’assemblea che mai - in nessun’altra
circostanza - ha vissuto questi temi con una sintonia, una simbiosi con chi parlava,
con la convinzione che questi temi fossero nel profondo della propria esperienza.
E’ per questo che il risultato è veramente straordinario.
D. - Un tema ricorrente
è stato quello delle nuove generazione e dei giovani, ai quali si guarda spesso con
preoccupazione. Questo dialogo, basato su un umanesimo integrale, deve guardare soprattutto
a loro?
R. - Io ho posto il problema anche della "morte progressiva" del concetto
di futuro, proprio perché l’orizzonte sembra essere così colmo di macerie o di delusioni.
In realtà, noi abbiamo i giovani che, è vero, hanno chiuso occhi e orecchie rispetto
al mondo in cui siamo inseriti, proprio perché non trovano degli orizzonti aperti.
Tuttavia, io ho trovato - e ne ho fatto un’esperienza proprio incontrandoli in uno
dei Cortili più affollati dedicati a loro - una sorta quasi di apertura e di attesa.
Per cui, noi generazioni precedenti e soprattutto il mondo della Chiesa e anche il
mondo della cultura laica non dobbiamo questa volta cercare di deluderli e soprattutto
non dobbiamo cercare di pensare che questa generazione giovanile sia una generazione,
in pratica ormai scontatamente, non dico perduta, ma sicuramente da archiviare.
D.
- Infine, che nota in più ha aggiunto al Cortile dei Gentili il teatro della città
di Francesco?
R. - Guardando nella vallata, idealmente possiamo dire che avevamo
lo stesso sguardo di Francesco che vedeva questo mondo, queste campagne, queste presenze
anche della natura. Dall’altra parte, però, direi anche l’arte che è in Assisi e che
fa sì che anche coloro che arrivano con delle domande - penso ai giornalisti - che
sono immediate, scontate e qualche volta - diciamolo - anche banali, qui idealmente
stanno ad ascoltare anche qualcosa di più alto e tendono a registrare, invece, come
ha voluto fare anche il presidente della Repubblica, il respiro che è il respiro della
vera spiritualità e della vera laicità.
A sottolineare l'ampio orizzonte di
dialogo che le varie tappe del "Cortile dei Gentili", compresa quella appena conclusa
di Assisi, hanno saputo finora sviluppare con credenti e non credenti è uno dei protagonisti
dell'incontro umbro, il priore della Comunità ecumenica di Bose, Enzo Bianchi,
al quale Fabio Colagrande ha chiesto di spiegare il senso profondo di questa
manifestazione:
R. - Significa
proprio quello che il Concilio voleva e che Paolo VI ha sintetizzato nell’Ecclesiam
Suam: la Chiesa si fa dialogo. Qui, abbiamo un’esperienza della Chiesa che si
fa dialogo con tutti, con tutte le componenti di altre religioni, ma anche con quelli
che non professano alcuna religione. E’ decisivo per il futuro dell’umanità che ci
sia questa complicità tra credenti e non credenti nel cercare ciò che fa diventare
l’uomo più uomo e, in questo senso, realizza anche la volontà e il piano di Dio sull’uomo.
D. - Si è parlato di contemplazione e di meditazione: la Chiesa deve aver
paura di altri metodi che arrivano da altre tradizioni o da altre religioni?
R.
- No, io credo che la pluralità dei metodi rappresenta tutte vie umane che possono
servire anche alla meditazione e alla contemplazione cristiane. I cristiani devono
solo ricordare che ciò che li salva non è un metodo, non è la meditazione, non è la
contemplazione, ma ciò che li salva è ancora Gesù Cristo e soltanto Lui. Quindi, non
scambieranno gli strumenti con ciò che è il fondamento.
D. - Lei ha detto,
però, che a volte c’è timidezza nel ricordare questo…
R. - Sì, c’è timidezza,
c’è paura oggi. Certamente, manca una certa speranza e una certa fiducia negli uomini
e nei loro cammini. Noi siamo un po’ come paralizzati davanti a una certa audacia
del dialogo. Ma il Concilio deve essere una forza che ci spinge e ci rende audaci,
facendo cessare le nostre paure.
D. - Sta per cominciare il Sinodo sulla nuova
evangelizzazione, al quale lei partecipa: quali le sue speranza, i suoi auspici?
R.
- Io partecipo al Sinodo chiamato da Benedetto XVI come esperto e ho una buona speranza.
Mi sembra che il cammino fatto fin qui indichi davvero una prospettiva fedele al Vaticano
II su cosa sia la nuova evangelizzazione: una vera proposta di buona notizia, nessuna
imposizione.