2012-10-06 14:12:24

Nuovo scambio di colpi fra Turchia e Siria: torna alta la preoccupazione internazionale


Ancora colpi di artiglieria al confine tra Turchia e Siria. L'esercito di Ankara ha risposto al fuoco dopo che nuovi esplosioni di mortaio sparati da territorio siriano sono esplosi nel sud della Turchia. Dopo i cinque civili uccisi giorni fa da bombardamenti siriani, la risposta e le scuse di Damasco, sembra rientrata ieri molta della tensione. Intanto, i ribelli siriani anti-regime affermano di aver conquistato un valico informale di frontiera con la Turchia, nella regione nord-occidentale di Idlib. Resta dunque alta la preoccupazione per un possibile coinvolgimento della Turchia nella guerra civile. E di questo rischio, Fausta Speranza ha parlato con Alessandro Colombo, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Milano:RealAudioMP3

R. - Credo che la ragione dipenda da un fallimento che avevamo già sperimentato in occasione di grandi crisi internazionali degli ultimi anni: il fallimento cioè della politica di cordone sanitario, che ora sta cercando naturalmente di evitare un allargamento della crisi siriana ai Paesi limitrofi. Il problema è che, con il prolungamento della crisi, questo allargamento diventa pressoché inevitabile: o per volontà espressa di qualche attore, oppure semplicemente per effetto di incidenti che non possono essere controllati. Non penso che la Siria e la Turchia abbiano in questo momento un qualche interesse a entrare in un conflitto armato vero e proprio. Il problema è che il conflitto in Siria non è più controllabile all’interno dei confini ,siriani e dai confini siriani quasi fatalmente tende - almeno in piccola parte finora - a tracimare altrove.

D. - Ma si tratta di micce fuori controllo o c’è una strategia, secondo lei?

R. - Una strategia non credo: ce ne sono probabilmente molte. La Siria è sostanzialmente collassata dal punto di vista della capacità statuale del controllo del territorio: quello che sta avvenendo - e questo almeno sembra abbastanza evidente - è l’intromissione di una serie di attori, statuali o non statuali, che stanno penetrando in Siria, ciascuno con strategie diverse e in competizione con quella degli altri. Quindi, potremmo dire che, in questo momento, la guerra civile siriana si è - senza dubbio alcuno - internazionalizzata e, internazionalizzandosi, il rischio di un allargamento del conflitto anche oltre la Siria naturalmente aumenta.

D. - In tutto questo, c’è anche la questione curda, che fa un po’ da sfondo sia per quanto riguarda il territorio turco, sia anche per il territorio siriano…

R. - Sì. Come sempre in questo tipo di conflitti, le minoranze diventano una sorta di arma che ciascuno può impiegare contro gli altri: è una sorta di gruppo di collegamento tra un Paese e l’altro e l’altro ancora. E’ chiaro che, tra le altre cose che teme la Turchia, c’è il rischio che la Siria come atto di disperazione sostenga la minoranza curda più radicale all’interno dei confini turchi per produrre a propria volta problemi al vicino.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha lanciato di recente un nuovo allarme sul numero dei siriani costretti ad abbandonare il loro Paese: i profughi sono ormai oltre 300 mila in tutta la regione, il triplo rispetto a tre mesi fa. Tra i principali Paesi di destinazione c’è il Libano, dove la Caritas è in prima linea nell’assistenza. A Beirut, Davide Maggiore ha intervistato Kamal Sioufi, presidente del Centro per i Migranti della Caritas libanese:RealAudioMP3

R. – Dans certain régions, nous étions les premiers...In alcune regioni, noi siamo stati i primi a iniziare il lavoro: in buona parte della regione della Bekaa, per esempio, Caritas Libano è stata la prima organizzazione che ha cominciato a prendere contatti sul posto e che quindi ha cominciato a portare aiuto. In altre regione abbiamo lavorato soprattutto insieme all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) e ad altri organismi locali, che sono molto impegnati in piccoli villaggi e in piccole zone. Noi siamo al Nord e là sono presenti molti siriani, ma siamo presenti anche nella Bekaa dove c’è ancora un buon numero di siriani. Attualmente abbiamo poi un programma con Acnur, ugualmente al sud, dove ci occupiamo dell’accoglienza delle famiglie, avendo così una panoramica generale della situazione, e dove prepariamo gli aiuti che vengono consegnati sul posto, ma anche direttamente quando andiamo presso di loro per visitarli e per distribuire quanto è gli necessario.

D. – Circa il 30 per cento dei rifugiati siriani hanno passato la frontiera tra la Siria e il Libano in modo irregolare e ci sono quindi anche dei rischi per loro…

R. – Quand quelqu’un travers le frontière di un façon illégal…
Quando qualcuno passa la frontiera in Libano in modo illegale, risiede in Libano in modo illegale! Certamente poi, non importa quale sia la ragione, se viene fermato e se non ha documenti che provano un passaggio regolare attraverso la frontiera, sarà soggetto ad essere imprigionato o anche ad essere direttamente espulso dal Libano verso la Siria. Ma la cosa sulla quale io vorrei attirare l’attenzione è soprattutto la questione dei numeri. Fino ad oggi, ci sono 80 mila siriani che si sono registrati presso l’Acnur: certamente questo, però, non è il numero reale, perché ci sono molti siriani che hanno paura e che non vogliono dare il loro nome all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati perché temono che il loro nome venga poi consegnato alle autorità siriane. Un’altra cosa importante da sottolineare è che in un anno e due mesi il numero non ha mai superato 32 mila e poi soltanto in poche settimane – 3-4 settimane – sono passati da 32 mila a 80 mila. Abbiamo assistito a un esodo che è stato molto più importante rispetto a tutto l’anno passato.

D. – Circa un quarto della popolazione dei rifugiati siriani ha tra i 6 e i 14 anni: si tratta, quindi, di bambini. Quali sono i loro bisogni specifici?

R. – Certainement le besoin spécifique des enfants…
Certamente, il bisogno primario dei bambini è prima di tutto la scolarizzazione: non si può tenere i bambini tutto l’inverno sotto una tenda, in una sistemazione provvisoria o presso i propri parenti senza che ci sia almeno una certa formazione. La scolarizzazione risulta, però, essere molto problematica poiché il livello scolastico non è lo stesso di quello assicurato nelle diverse scuole libanesi. Quindi, anche se il governo libanese ha chiesto a tutte le scuole pubbliche di aprire le loro porte agli studenti e agli allievi siriani, il problema è ancora un problema relativo al livello. Quindi ancora una volta sarà importante il ruolo delle Ong, che potrebbero riunire questi allievi in piccoli gruppi di lavoro per portarli allo stesso livello dei programmi libanesi, consentendogli così di poter proseguire i corsi nelle scuole libanesi. Certamente questo rappresenta un problema molto grave, perché si stima che tra i rifugiati vi siano circa 40 mila studenti che dovrebbe prendere parte a questo programma: ma bisogna anche tener contro che vi sono famiglie più fortunate, più agiate, che non hanno dato il loro nome all’Alto Commissariato perché non hanno bisogno di aiuto, ma che sono qui, in territorio libanese, e che hanno bisogno di inserire i loro figli nelle scuole private.








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